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Sri Lanka Sri Lanka 2014: la continuazione del regime autoritario e la crescente insoddisfazione popolare

  1. Introduzione

Lo Sri Lanka ha visto, durante il 2014, il perdurare delle dinamiche che hanno caratterizzato lo scenario politico e sociale del paese dalla fine al conflitto civile, nel 2009. In particolare, il supremo potere politico ha continuato ad essere esercitato dal presidente Mahinda Rajapaksa (il cui vero nome è Percy Mahendra Rajapaksa). Eletto presidente per una prima volta nel novembre 2005 e rieletto per la seconda volta consecutiva nel gennaio 2010, Mahinda Rajapaksa ha continuato a guidare il governo della United People’s Freedom Alliance (UPFA), dotato di un’ampissima maggioranza parlamentare. A sua volta, questa maggioranza parlamentare era espressione della popolazione sinhala, ovvero l’etnia di maggioranza nello Sri Lanka, grata al presidente per avere condotto il paese fuori dalla guerra civile, tramite l’annientamento delle Tigri Tamil (Liberation Tigers of Tamil Eelam, LTTE),

Tuttavia, nel corso di questi nove anni, si è assistito, da un lato, all’instaurazione di un clima politico repressivo e autoritario, dall’altro all’incapacità dell’amministrazione singalese di attuare politiche in grado di riconciliare i vari gruppi etnici presenti nell’isola. Il presidente Rajapaksa, infatti, è riuscito a concentrare vasti poteri su di sé e sulla propria cerchia famigliare, piegando alla sua volontà l’autorità giudiziaria ed modificando la costituzione tramite l’emanazione del 18° emendamento. Quest’ultimo, la cui legalità è stata duramente contestata, ha permesso a Rajapaksa di attribuire alla figura del presidente nuovi poteri e di abrogare il limite di due mandati, rendendo così possibile la sua rielezione. Nel corso del 2014, si è assistito, pertanto, all’attuazione di politiche volte ad accrescere il livello di militarizzazione dell’apparato statale e a soffocare le espressioni della società civile. Tale tendenza è stata inoltre legittimata in una certa misura dalla presunta riorganizzazione delle Tigri Tamil, paventata durante la prima metà dell’anno.

Nonostante che il presidente avesse in passato governato con pugno di ferro, durante il 2014, per la prima volta, sono emersi alcuni segnali di debolezza. Il primo è relativo alla decisa pressione che la comunità internazionale, principalmente tramite le risoluzioni emanate dall’UNHRC (United Nations Human Rights Council), ha esercitato nei confronti del presidente. Il secondo è il dato proveniente dalle elezioni provinciali di marzo e di settembre, caratterizzate da un’inedita erosione dei consensi per la coalizione dell’UPFA.

Nel primo caso, le sanzioni dell’UNHCR dimostravano l’insofferenza dei paesi occidentali nei confronti delle politiche del governo singalese sia sul fronte interno che su quello esterno. L’intensificazione delle relazioni economiche e diplomatiche tra Colombo e Pechino ha infatti suscitato non poche apprensioni in seno all’amministrazione statunitense, principale promotrice delle risoluzioni dell’UNHRC.

Nel secondo caso, sul versante domestico, il calo dei voti ha persuaso il presidente Rajapaksa a indire in anticipo le elezioni presidenziali, fissando la data del voto al gennaio 2015, nella speranza di ottenere un nuovo mandato, prima di perdere ulteriori consensi tra l’elettorato. La decisione di anticipare le elezioni è stata accompagnata dall’apertura di alcune crepe nella coalizione di governo, che hanno portato alla defezione di tre ministri. Particolarmente importante è stata la diserzione di Maithripala Sirisena, ministro della Salute, passato nei ranghi dell’opposizione per candidarsi come presidente alle elezioni del gennaio seguente. La sua candidatura, infatti, è stata in grado di compattare i partiti di opposizione in un fronte comune che, ipoteticamente, potrebbe essere in grado di impedire la rielezione di Rajapaksa.

Se l’aprirsi di un’opposizione interna all’UPFA e l’erosione dei consensi tra la popolazione non si sono risolti in una vera e propria crisi di governo, gli avvenimenti appena descritti hanno comunque fatto emergere alcune fragilità che, solamente l’anno precedente, sembravano lungi dal potere sfiorare la monolitica coalizione di governo. L’insoddisfazione verso l’amministrazione Rajapaksa, già diffusa tra i cittadini tamil e tra le classi medie urbane, esponenti della società civile singalese, pare si sia allargata alla popolazione rurale oltre che all’interno della stessa coalizione di governo. Solamente le elezioni del gennaio 2015 saranno però in grado di decretare se l’egemonia della famiglia Rajapaksa sulla nazione sia giunta al crepuscolo o se l’avere condotto il paese fuori dal conflitto civile possa garantire al presidente l’imperituro appoggio della popolazione sinhala.

  1. L’istituzione della commissione di inchiesta dell’UNHRC

Il 27 marzo 2014, a Ginevra, l’UNHRC ha decretato l’istituzione di una commissione di inchiesta internazionale deputata ad indagare sui presunti crimini di guerra e sulle violazioni dei diritti umani commessi dalle forze armate singalesi e dalle Tigri Tamil durante le ultime brutali fasi del conflitto civile che ha afflitto lo Sri Lanka per 26 anni, dal 1983 al 2009.[1] L’adozione di tale risoluzione è stato un evento simbolicamente molto significativo, sebbene il governo singalese, lungi dall’assecondare le istanze dell’organismo internazionale, abbia respinto con sdegno l’ipotesi di un intervento esterno.

A cinque anni dalla fine della guerra civile, conclusasi con l’annientamento delle LTTE e con la completa vittoria del governo centrale, lo Sri Lanka non è stato in grado di portare giustizia alle vittime del conflitto. Al contrario, esso ha assicurato la totale impunità ai responsabili degli abusi commessi, non riuscendo a mettere in pratica neppure i limitati suggerimenti della commissione di inchiesta filo-governativa, la Lessons Learnt and Reconciliation Commission (LLRC), istituita nel 2010. La scarsa volontà dimostrata dalle autorità dello Sri Lanka nel perseguire la giustizia e nell’addivenire ad un serio processo di riconciliazione nazionale ha quindi spinto l’UNHRC ad emanare una serie di risoluzioni, nel 2009, nel 2012 e nel 2013, il cui scopo era quello di incoraggiare il governo singalese a impegnarsi in tal senso. Il contenuto delle precedenti risoluzioni concerneva però anche un’altra questione, ossia la preoccupante situazione della tutela dei diritti umani. La sistematica violazione dei diritti umani da parte delle autorità singalesi sotto l’amministrazione Rajapaksa, infatti, era tale da suscitare l’apprensione di ampi settori della comunità internazionale. Le sollecitazioni del Consiglio sono però state costantemente rigettate dal governo dell’isola, spingendo in tal modo l’UNHRC ad adottare la risoluzione del 27 marzo, proposta dagli Stati Uniti ed approvata grazie al voto favorevole di 23 paesi. Tra i 12 paesi contrari alla decisione si sono schierati, tra gli altri, la Cina, le cui relazioni con Colombo sono divenute negli ultimi anni estremamente amichevoli, e il Pakistan; tra gli stati che si sono astenuti dal voto, vale la pena di annoverare il Giappone e l’India. L’astensione di quest’ultima, che aveva invece votato a favore delle precedenti risoluzioni, era ufficialmente dettata dal fatto che l’UNHRC non avesse tenuto in debita considerazione i progressi fatti dal governo singalese in direzione di una riconciliazione nazionale e dal timore che l’istituzione di una commissione di inchiesta internazionale potesse ostacolare tali «ragguardevoli sviluppi».[2] Nel settembre 2013 infatti, per la prima volta nella storia dello Sri Lanka, erano state indette le elezioni per la formazione del Provincial Council della provincia Settentrionale, popolata prevalentemente dall’etnia tamil. Nonostante ciò, il risultato delle elezioni, che avevano visto la vittoria del partito d’opposizione, la Tamil National Alliance (TNA), era stato appannato da una serie di circostanze che attenuavano ampiamente la portata storica e politica di tale evento.[3] In realtà, pare più probabile che l’astensione dal voto dell’India riflettesse in larga misura il desiderio di Delhi di non danneggiare le relazioni con il governo singalese, evitando di spingerlo ad avvicinarsi ulteriormente all’orbita cinese. Di conseguenza, pur non negando la necessità di un’inchiesta indipendente e credibile sui crimini di guerra, l’India ha deciso di non sostenere «l’approccio controproduttivo e tale da minare la sovranità nazionale [dello Sri Lanka]», quale era considerato quello proposto dall’UNHRC.[4]

La reazione dell’amministrazione Rajapaksa di fronte alla decisione del Consiglio è stata ostile e indignata come, del resto, lo era stata in occasione delle precedenti e meno decisive risoluzioni. Il ministro degli Esteri, G. L Peiris, spiegando la contrarietà dello Sri Lanka riguardo alla risoluzione dell’UNHRC, ha infatti affermato che il governo singalese non avrebbe cooperato con le indagini. La legittimità dell’inchiesta internazionale veniva confutata dalle autorità singalesi, che la giudicavano come una violazione della sovranità nazionale del paese. Lo Sri Lanka non soltanto si è rifiutato di collaborare con la commissione investigativa, ma ha in seguito deciso di boicottarne l’opera, negando la concessione del visto di entrata ai membri della squadra investigativa internazionale.[5] Nella visione del presidente Rajapaksa, la pressione internazionale a cui il governo dell’isola è stato sottoposto era nociva, perché contribuiva a polarizzare le spaccature etniche del paese, e ingiustificata, dal momento che gli sforzi fatti in direzione della riconciliazione nazionale e della pace erano stati notevoli. Tale punto di vista si basava soprattutto sul fatto che il governo avesse effettuato massicci investimenti nell’area settentrionale dello Sri Lanka, i quali hanno in effetti permesso la ricostruzione delle infrastrutture e il ripristino dei trasporti, nonché l’espansione dei servizi bancari, portando ad una rapida crescita della depressa economia della provincia del Nord (cresciuta nel 2012 del 25%).[6] A dispetto di tali progressi, la provincia Settentrionale non solo ha continuato ad essere una delle più economicamente arretrate dello Sri Lanka, contribuendo soltanto al 4% del Prodotto Interno Lordo (PIL), ma, una volta cessate le ostilità, ha visto permanere sul proprio territorio un ingente dispiegamento delle forze armate, circostanza che ha ostacolato il consolidamento democratico e il rifiorire dell’economia all’interno dell’area.

La pressione esercitata dall’UNHRC sullo Sri Lanka era interpretata dall’amministrazione Rajapaksa come parte di una cospirazione messa in atto dai paesi occidentali per destabilizzare il governo nazionale. Durante la campagna elettorale per le elezioni dei consigli provinciali, il presidente Rajapaksa ha infatti colto l’occasione per screditare l’opposizione interna, asserendo che la diaspora tamil stesse premendo sulla comunità internazionale al fine di rovesciare il governo, con l’appoggio dei partiti d’opposizione nazionali.[7] In una certa misura, tale tesi trovava effettivamente riscontro nella realtà. L’onnipotenza del presidente Rajapaksa e del suo gabinetto ha reso pressoché impossibile per i partiti d’opposizione competere per il potere o, quanto meno, influenzare le decisioni dei vertici politici. L’appoggio della comunità internazionale, di conseguenza, è risultato un utile mezzo nelle mani delle opposizioni per cercare di controbilanciare il potere di Rajapaksa.

Se l’efficacia della risoluzione adottata dall’UNHRC sul processo di riconciliazione nazionale dello Sri Lanka rimane incerta, ciò che invece appare chiaro è il fatto che il governo singalese non è disposto ad impegnarsi seriamente verso questo obiettivo. Il paese è infatti rimasto spaccato in due, dal punto di vista sia geografico che etnico. La conclusione del conflitto civile ha visto emergere il trionfalismo del gruppo di maggioranza sinhala, prevalente nell’area centro-meridionale dell’isola, mentre tra la popolazione tamil, residente principalmente nella zona nord-orientale, è prevalso un sentimento di sconfitta e di impotenza. Il risultato di questa spaccatura è stato il consolidamento di due visioni contrapposte e ostili della realtà politica dell’isola: la prima teme il ritorno di un nuovo imperialismo occidentale in Sri Lanka, tramite l’intervento dell’UNHRC; la seconda paventa invece una forma di neo-colonialismo sinhala a danno dell’etnia tamil.[8] Sta di fatto che il timore di ripercussioni economiche, quali un calo degli investimenti esteri e degli scambi commerciali, o addirittura l’imposizione di vere e proprie sanzioni finanziarie, potrebbe indurre il governo a cambiare le proprie posizioni sulla questione dei crimini commessi durante la guerra civile. Un primo segnale in tal senso è pervenuto il 19 agosto 2014, quando il presidente ha annunciato la nomina di due personalità internazionali a consiglieri della Presidential Commission Investigating Cases of Missing Persons, ossia la commissione istituita da Rajapaksa nell’agosto dell’anno precedente per indagare sui circa 20.000 casi di uomini e donne scomparsi durante la guerra. I due consiglieri, l’attivista indiano Avdhash Kaushal e il giurista pachistano Ahmer B. Soofi, si sono uniti ad altri tre esperti – due inglesi e un americano –, completando il comitato consultivo deputato ad assistere la commissione presidenziale. La mossa del presidente Rajapaksa, giunta a circa due mesi di distanza dalla designazione dei membri della commissione investigativa dell’UNHRC, è quindi parsa una reazione diretta alla pressione esercitata dalla comunità internazionale. Inoltre, nel luglio dello stesso anno, il mandato della commissione presidenziale è stato ampliato, venendo a comprendere anche la possibilità di indagare sui crimini compiuti durante la guerra civile.[9] Se questi sviluppi sono certamente apparsi incoraggianti, occorre comunque del tempo per appurarne l’effettiva portata. Il fatto che la commissione non abbia carattere indipendente, bensì faccia capo al presidente Rajapaksa, ha lascito molti dubbi sulla sua concreta efficacia, soprattutto se si tiene conto degli scarsi risultati ottenuti dalla precedente commissione filo-governativa deputata ad investigare sui crimini di guerra: la Lessons Learnt and Reconciliation Commission.

  1. 3. L’allarme suscitato dalla presunta riorganizzazione delle Tigri Tamil

Nello stesso periodo in cui, presso l’UNHRC, si dibatteva il caso riguardante lo Sri Lanka, nell’isola asiatica si è assistito ad un crescente allarmismo, causato dalla presunta riorganizzazione delle LTTE. L’ipotesi secondo cui le Tigri Tamil stessero pianificando una ripresa delle attività sovversive ha preso forma il 13 marzo 2014, quando nel distretto di Kilinochchi si è verificata una sparatoria tra la polizia e un uomo identificato come l’ex guerrigliero tamil Ponniah Selvanayagam Kajeepa, alias Gobi. Il conflitto a fuoco si è concluso con il ferimento di un poliziotto appartenente alla Terrorism Investigation Division. L’avvenimento, che è parso confermare i precedenti timori delle forze dell’ordine riguardo ad un eventuale riorganizzazione delle Tigri Tamil, ha provocato una decisa reazione da parte delle autorità singalesi, le quali hanno mobilitato massicci contingenti militari e di polizia per catturare il sospetto.[10] La provincia Settentrionale, già fortemente militarizzata, ha così visto sul proprio territorio un ulteriore dispiegamento delle forze armate. Grazie ad un’operazione militare che pare abbia coinvolto centinaia di soldati, l’11 aprile l’esercito è riuscito a scovare il presunto terrorista. L’intervento delle forze armate si è concluso con l’uccisione di Gopi e di altri due uomini, identificati anch’essi come ex combattenti delle LTTE, ossia Sundaralingam Kajeepan, alias Thevihane, e Navaratnam Navaneethan, alias Appan. L’episodio ha rappresentato il primo conflitto a fuoco tra esercito e ribelli tamil dalla conclusione della guerra civile. Secondo il ministero della Difesa, Gopi sarebbe stato il promotore di un movimento, con base nell’area di Pallai, nella penisola di Jaffna, mirato a fare risorgere le LTTE con la complicità di alcuni gruppi della diaspora tamil. Il gruppo di sediziosi locali sarebbe infatti stato guidato da due leader delle LTTE basati in Europa.[11]

L’inasprimento delle misure di sicurezza messo in atto dal governo singalese ha condotto le forze dell’ordine ad effettuare una serie di arresti, invero abusando del draconiano Prevention of Terrorism Act (PTA). Nel corso del 2014, infatti, sono stati oltre 80 gli arresti effettuati sotto la giurisdizione della legge anti terrorismo, a partire da quello di Balendra Jeyakumari e della figlia tredicenne Vidushika, accusate di avere dato riparo a Gobi.[12] L’arresto delle due donne non ha mancato di suscitare proteste, dal momento che Balendra e Vidushika Jeyakumari erano soprattutto note per il loro impegno civile, rivolto a fare luce sui casi di scomparsa avvenuti durante il conflitto. Pochi giorni dopo il fermo di Balendra Jeyakumari e della figlia, la polizia ha proceduto ad arrestare altri due sospetti, ossia un attivista per i diritti civili, Ruki Fernando, e il prete cattolico Padre Praveen. Questi ultimi però sono stati rilasciati in breve tempo, in seguito alla pressione esercitata dai gruppi internazionali di tutela dei diritti umani.[13] Le severe misure di sicurezza adottate dal regime Rajapaksa per sventare un’eventuale riorganizzazione delle LTTE hanno incluso anche la messa al bando di 16 organizzazioni e di 424 membri della diaspora tamil. Questi ultimi sono stati classificati come sostenitori del terrorismo dal governo singalese, il quale, di conseguenza, ha proceduto al congelamento dei loro beni. Tale provvedimento era d’altronde conforme alla risoluzione 1373 delle Nazioni Unite in materia di terrorismo internazionale, il cui contenuto impone ai governi nazionali di congelare i beni di «coloro che commettono o tentano di commettere atti terroristici».[14]

L’allarme scaturito dall’ipotetica rinascita delle Tigri Tamil è emerso con una tempistica quanto meno sospetta. La questione si è infatti presentata proprio a ridosso del dibattito dell’UNHRC sullo Sri Lanka, il quale si trovava sotto osservazione non solo a causa dei crimini di guerra rimasti impuniti, ma anche per il clima repressivo e la costante violazione dei diritti umani di cui si era responsabile il governo dell’isola. Il pericolo rappresentato da un’eventuale riorganizzazione delle LTTE contribuiva infatti, da un lato, a legittimare l’atteggiamento oppressivo dell’amministrazione singalese e, dall’altro, a fornire un valido pretesto per intensificare l’utilizzo di misure repressive. Nel primo caso, le esigenze di sicurezza nazionale hanno fornito al regime Rajapaksa una giustificazione non soltanto per posticipare ulteriormente l’attesa riduzione delle truppe stanziate nell’area nord-orientale dell’isola, ma persino per incrementare la presenza dell’esercito nella regione. Nel secondo caso, i provvedimenti adottati dalle autorità per fare fronte alla supposta minaccia derivante dalla ricostituzione delle Tigri Tamil hanno contribuito a compromettere maggiormente la già fragile situazione della democrazia singalese. A destare particolare allarme, oltre allo spregiudicato utilizzo del PTA, erano soprattutto le possibili conseguenze della messa al bando, come terroristi, dei sopra citati membri della diaspora tamil. Tra le organizzazioni classificate come «terroriste» si trovavano, tra le altre, il British Tamil Forum, il Canadian Tamil Congress, il Global Tamil Forum e l’Australian Tamil Congress, ossia gruppi che, nei rispettivi paesi di adozione, non solo erano legalmente registrati, ma godevano anche di fiducia e prestigio. Se fino al 2009 larga parte delle organizzazioni della diaspora tamil avevano effettivamente sostenuto in modo attivo le LTTE, dopo la conclusione del conflitto civile il loro impegno si era principalmente rivolto alle questioni concernenti i crimini di guerra e la violazione dei diritti umani nello Sri Lanka, tramite la raccolta di testimonianze e la segnalazione di abusi. Le misure repressive adottate dal governo Rajapaksa contro i membri di tali organizzazioni non apparivano giustificate da nessuna evidenza concreta. In effetti, esse parevano principalmente mirate da un lato a colpire e a isolare gli attivisti e i politici tamil locali che avevano legami internazionali e, dall’altro, a screditare la diaspora tamil internazionale, il cui ruolo nel promuovere l’intervento dell’UNHRC nello Sri Lanka non era stato marginale.[15] Più, quindi, che da motivi concernenti la sicurezza nazionale, il provvedimento a cui l’amministrazione singalese era ricorso è apparso soprattutto finalizzato a indebolire la componente tamil locale.

In definitiva, si può affermare che il potenziale rischio di una ripresa del terrorismo tamil è stato certamente sfruttato dall’amministrazione Rajapaksa per consolidare un regime in cui, al declino delle istituzioni democratiche, si accompagnava una crescente militarizzazione dell’apparato statale. La risposta del governo singalese è infatti parsa come il corollario di un percorso, in atto sino dalla conclusione della guerra civile, caratterizzato dal soffocamento del dissenso e dal trionfalismo sinhala. Tali considerazioni hanno portato alcuni osservatori persino a dubitare della veridicità delle informazioni riguardanti la riorganizzazione delle Tigri Tamil, la cui rinascita sarebbe giunta in modo talmente puntuale e opportuno, per il regime Rajapaksa, da risultare sospetta. Questa teoria, secondo cui sarebbe stato il governo stesso ad orchestrare l’intera vicenda, trarrebbe origine dal fatto che le autorità singalesi, ossia l’unica fonte di informazioni sulla presunta rinascita delle Tigri Tamil, non abbiano diffuso nessuna prova volta a dimostrare che gli uomini uccisi dall’esercito fossero effettivamente reduci delle LTTE, determinati a risvegliare il movimento ribelle.[16] Se una simile congettura appare invero azzardata, è però certo che il governo dello Sri Lanka abbia tratto vantaggio dalle circostanze per perseguire i propri obiettivi, avvalendosi di contro-misure sproporzionate rispetto al rischio reale. Infatti, la probabilità che un tentativo di ripristino della defunta organizzazione tamil possa avere successo è alquanto remota, considerato il ramificato controllo che le forze armate esercitano non solo nell’area nord-orientale, dove esso è maggiormente invasivo, ma anche in vasti comparti dell’amministrazione statale nazionale. Il regime Rajapaksa ha certamente strumentalizzato ed enfatizzato il rischio di un ritorno del terrorismo tamil per giustificare, agli occhi della comunità internazionale, la rampante militarizzazione dello stato singalese e la costante repressione del dissenso interno, fenomeni che sono andati acuendosi in seguito al configurarsi di tale minaccia alla sicurezza nazionale.

  1. La crescente militarizzazione dell’apparato statale e gli sfollamenti forzati della popolazione

Come precedentemente osservato, a partire dal 2009, nello Sri Lanka si è assistito ad un fenomeno che può essere definito come paradossale, ossia la costante militarizzazione delle istituzioni statali nella fase del dopo guerra. Sebbene tale fenomeno non risulti evidente, prendendo in considerazione i mutamenti annuali del principale indicatore del livello di militarizzazione di un paese, ossia la percentuale di spesa pubblica per la Difesa rispetto al PIL, che risulta lievemente diminuita rispetto al 2009, un’analisi più dettagliata è in grado di convalidare l’ipotesi sopra esposta. Infatti, se in termini relativi la spesa militare è passata dal 3,6% del PIL del 2009 al 2,6% del 2012, in termini assoluti essa è considerevolmente aumentata. Nel 2009 la somma destinata alla Difesa è infatti stata di 175 miliardi di rupie,[17] mentre nel 2013 questa è cresciuta a 253 miliardi, aumentando in questo caso anche in termini relativi rispetto all’anno precedente (dal 2,6% del PIL del 2012 al 2,7%).[18]

Il processo di militarizzazione dello Sri Lanka si è poi declinato attraverso forme che sarebbero difficilmente decifrabili tramite un’esclusiva analisi dei dati macro economici. Esso, infatti, è stato caratterizzato, in primo luogo, dalla logica dell’occupazione e dell’umiliazione della parte sconfitta, che ha trovato espressione attraverso il mantenimento del controllo, da parte dell’esercito, dell’area nord-orientale del paese.[19] Vale la pena di descrivere un episodio esemplare, proprio di tale dinamica, verificatosi durante il maggio 2014, quando nella città meridionale di Matara ha avuto luogo «la parata della Vittoria». La manifestazione, che aveva lo scopo di commemorare il quinto anniversario della vittoriosa conclusione del conflitto, ha inevitabilmente destato alcune controversie, dal momento che una simile celebrazione, lungi dal promuovere la riconciliazione nazionale, ribadiva il trionfo dell’etnia sinhala su quella tamil. Inoltre, se si considera che, contemporaneamente, la polizia e l’esercito hanno impedito lo svolgimento di una commemorazione ufficiale dei caduti tamil, che avrebbe dovuto svolgersi nella provincia Settentrionale, risulta chiaro come la narrazione prevalente tendesse non a superare ma a cristallizzare le divisioni proprie del periodo di guerra civile.[20]

La militarizzazione dell’apparato statale non è tuttavia rimasta circoscritta alle sole zone del nord-est. Nel corso del 2014 è infatti divenuto chiaro come tale fenomeno riguardasse in realtà l’intero paese, manifestandosi con prepotenza nella stessa capitale, Colombo, e nelle città meridionali dello Sri Lanka, dove è stato realizzato un programma di sviluppo urbano gestito dall’omonimo ministero. Quest’ultimo, assieme al Land Reclamation and Development Board (LRD), è stato posto, dopo la fine della guerra, sotto l’autorità del ministero della Difesa, capeggiato dallo stesso presidente, in qualità di ministro, che lo gestisce attraverso il fratello, Gotabaya Rajapaksa, che ha la carica di segretario del ministro.

A partire dal 2010, i progetti di sviluppo e di miglioramento di alcuni quartieri degradati di Colombo hanno condotto il ministero della Difesa e dello Sviluppo Urbano a dare il via ad una serie di sfollamenti coatti destinati a coinvolgere tra i 70.000 e i 135.000 nuclei famigliari. Gli abitanti di aree quali Slave Island, Narahenpita, Barnes, Borella, Bauddhaloka Mawatha, Wanathamulla e Maligawatta sono quindi stati forzati ad abbandonare le loro proprietà affinché venissero demolite , per permettere l’edificazione di nuove infrastrutture. Il piano di sviluppo, la cui realizzazione si è intensificata durante il 2014, avrebbe dovuto portare alla demolizione delle aree fatiscenti della città e alla successiva costruzione di attività commerciali e abitazioni di lusso, trasformando in tal modo Colombo nel «fulcro commerciale dell’Asia meridionale».[21] Tuttavia, l’esecuzione del progetto è stata caratterizzata dallo scarso riguardo per le normative vigenti, dal momento che il Land Acquisition Act (LAA), che regola l’acquisizione di proprietà private da parte dello stato, prevede questa possibilità solamente nel caso si persegua uno scopo di pubblico interesse.[22] Nonostante l’ampia gamma di usi previsti da tale legge, il fatto che l’LAA sia stato impiegato per favorire il capitale privato, in particolare attraverso la realizzazione di hotel, di ristoranti e di campi da golf, ha naturalmente destato numerose proteste da parte di giuristi e attivisti singalesi.[23] Se infatti il piano di sviluppo urbano, sostenuto dalla Banca Mondiale, è certamente destinato ad attrarre gli investitori stranieri e a promuovere il turismo, creando nuove risorse economiche per il paese, gli enormi costi umani e sociali di tale operazione ne hanno però inevitabilmente offuscato il successo. A creare ulteriori perplessità circa i vantaggi di una simile operazione per la popolazione nel suo complesso, si è poi aggiunta la questione riguardante i vasti incentivi fiscali che sono stati concessi ad alcune delle compagnie decise a investire il proprio capitale nel progetto di sviluppo urbano promosso dai fratelli Rajapaksa.[24]

Inoltre, sebbene esistesse un piano di ricollocamento della popolazione evacuata, ovvero il National Involuntary Resettlement Policy, l’esecuzione degli sfollamenti è stata contrassegnata dallo scarso preavviso con cui le notifiche di sfratto sono state date e dalla vaghezza dei termini di compensazione. Soprattutto, però, il piano portato avanti dall’UDA, nonché dal ministero della Difesa, ha messo in luce l’elevato livello di militarizzazione e di centralizzazione raggiunto dell’amministrazione pubblica. L’intero processo di sfollamento della popolazione è stato affidato all’esercito, che ha svolto il proprio compito impiegando diffusamente intimidazioni e maltrattamenti. Neppure l’intervento della National Human Rights Commission, che nel marzo del 2014 aveva emesso un’ordinanza per bloccare gli sfratti dei residenti di Wanathamulla, è riuscito ad impedire il proseguimento delle operazioni da parte delle forze armate.[25] D’altronde, l’alto grado di impunità che è stato concesso dalle autorità singalesi ai membri dell’esercito e della polizia ha certamente avuto un ruolo decisivo nel processo di militarizzazione in atto nello Sri Lanka. É oltretutto risultato evidente che le operazioni di sfollamento attuate delle forze armate nella città di Colombo abbiano presentato dinamiche e dimensioni molto simili a quelle condotte negli ultimi due anni del conflitto civile nelle aree del settentrione e dell’oriente dell’isola, ovvero le zone che sono state il principale teatro degli scontri bellici.[26] L’intero processo di recupero delle aree urbane degradate è dopo tutto avanzato su un percorso assai differente da quello democratico, tanto che i cittadini e i rappresentanti politici dell’opposizione non hanno avuto alcuna voce in capitolo.

Il fenomeno degli sfollamenti da parte delle forze armate rappresenta in realtà soltanto un aspetto dell’ampio processo di militarizzazione che ha condotto i membri dell’esercito a ricoprire funzioni più estese di quelle che normalmente, in tempo di pace, competono loro. Non più confinati ad incarichi di sicurezza nazionale, i militari hanno assunto la funzione di veri e propri stake holders nella gestione della res publica, giungendo a ricoprire importanti incarichi all’interno dell’amministrazione statale e del corpo diplomatico. I membri delle forze armate hanno quindi assunto un ruolo sempre più rilevante sia tramite la gestione di attività economiche statali, sia avviando con successo iniziative imprenditoriali private nel settore del commercio e dei servizi.[27] La dimostrazione più lampante di questa tendenza è rappresentata dalla Rakna Arakshaka Lanka (RAL), ovvero una compagnia a carattere paramilitare di proprietà governativa. La RAL, che è sotto l’esclusivo controllo del ministero della Difesa, è un’impresa commerciale che fornisce ad enti sia pubblici che privati un’ampia gamma di servizi, che comprendono il settore della sicurezza militare (incluso il ramo dello spionaggio) e civile (ad esempio all’interno delle università), quello della formazione e del welfare e persino il comparto della ristorazione. La compagnia, il cui personale è costituito prevalentemente da ex personale dell’esercito, non risponde alle norme che generalmente regolano l’attività imprenditoriale pubblica o privata, godendo così di ampi privilegi.

L’infiltrazione degli spazi civili da parte dei militari è stata favorita da due circostanze: la prima è costituita dalla glorificazione dell’esercito, avvenuta in seguito alla conclusione della guerra. Tale meccanismo ha condotto i membri delle forze armate ad acquisire un vasto potere all’interno della società civile e, conseguentemente, a beneficiare di un ampio numero di programmi di benessere sociale a loro riservati, finanziati dalle donazioni di cittadini e di enti privati. Parallelamente, si è assistito all’introduzione della disciplina e dei valori militari nella vita civile, come, ad esempio, l’organizzazione di corsi di addestramento militare all’interno delle università. In secondo luogo, il processo di militarizzazione degli spazi civili è stato agevolato da istituzioni democraticamente elette, ovvero dal presidente e dal parlamento.

L’esercito, dal canto suo, ha avuto un ruolo funzionale rispetto al fenomeno di centralizzazione e di accrescimento dei poteri presidenziali, permettendo a Mahinda Rajapaksa, che è anche comandante in capo delle forze armate, nonché ai membri della sua famiglia, di dare vita ad un sistema di governo che appare sempre più simile ad un’oligarchia. Il regime Rajapaksa ha quindi favorito e sostenuto la militarizzazione dell’apparato statale, che ha a sua volta consentito l’instaurazione di un controllo assoluto sulla popolazione civile in periodo di pace.[28]  Tale controllo sulla società, che ha permesso al regime singalese di limitare fortemente la libertà di espressione dei cittadini, ha assunto col tempo connotati sempre più autoritari e opprimenti. Tra le numerose misure repressive adottate dal governo durante l’amministrazione Rajapaksa, si è distinta, nel corso del 2014, quella riguardante la regolamentazione delle Organizzazioni Non Governative (ONG). Tramite una circolare del 1° luglio 2014, il segretariato nazionale per le ONG, che opera anch’esso sotto la giurisdizione del ministero della Difesa, ha infatti stabilito alcune nuove regole finalizzate a proibire alle suddette organizzazioni una serie di attività, fra cui lo svolgimento di conferenze stampa, di workshop e seminari per giornalisti, nonché la divulgazione di comunicati stampa.[29] Questo provvedimento era ufficialmente motivato da cavilli giuridici, ovvero dal fatto che le attività sopra elencate non fossero previste dalla legge che regola il mandato delle ONG. Invero, nell’aderire meticolosamente alla legge ordinaria, il governo Rajapaksa stava agendo in spregio della stessa costituzione dello Sri Lanka, che garantisce a ogni cittadino i diritti fondamentali di espressione e di assemblea.[30] È infatti verosimile ipotizzare che le proibizioni imposte alle ONG mirassero principalmente a soffocare il dissenso e rappresentassero l’ennesimo passo intrapreso dal governo singalese sulla strada dell’autoritarismo, resa percorribile proprio grazie alla crescente militarizzazione delle istituzioni statali e sociali.

  1. Le elezioni provinciali

Il 29 marzo 2014, l’elettorato delle province dell’Ovest e del Sud, popolate prevalentemente dall’etnia sinhala, è stato chiamato al voto per il rinnovo dei rispettivi Provincial Councils. La decisione di indire tali elezioni avrebbe dovuto offrire al presidente l’occasione, da un lato, di verificare la robustezza della propria popolarità in quelle aree dove essa era maggiormente radicata, dall’altro, di lanciare un messaggio alla comunità internazionale circa la determinazione del popolo singalese a non «tollerare interferenze straniere», con riferimento all’inchiesta avviata dall’UNHRC.[31]

L’esito delle elezioni non è stato lusinghiero come probabilmente avevano auspicato Rajapaksa e la sua coalizione di governo, ovvero l’UPFA, che detiene il potere in otto delle nove province del paese.[32] Sebbene l’UPFA sia emersa come forza egemone, l’affluenza alle urne è stata scarsa e il risultato del voto ha evidenziato un calo di consensi per l’alleanza guidata dal presidente. Quest’ultima, infatti, ha conquistato 33 seggi su 55 nella provincia Meridionale, ossia cinque in meno rispetto alle elezioni del 2009, e 56 su 104 nella provincia Occidentale, perdendo così 12 seggi rispetto al 2009.[33] Il risultato più rappresentativo concerne però il distretto di Hambantota, luogo di origine del presidente Rajapaksa, nonché destinazione privilegiata degli investimenti governativi, dove l’UPFA ha visto decrescere la propria percentuale di voto dal 67% delle precedenti elezioni provinciali, al 57,4%.[34]

Tali risultati non potevano certamente essere interpretati come un drammatico mutamento del comportamento elettorale, avendo permesso all’UPFA di riaffermarsi come principale entità politica nelle due province in questione. D’altro canto, è stato comunque possibile riscontrare l’emergere di una nuova tendenza di voto, che ha visto l’alleanza partitica guidata dal presidente singalese perdere voti in favore, non tanto del principale partito d’opposizione, lo United National Party (UNP), quanto piuttosto di una terza formazione politica, ovvero il Democratic Party, guidato dall’ex generale delle forze armate Sarath Fonseka. Quest’ultimo ha avuto un ruolo decisivo nella vittoriosa conclusione della guerra civile, conducendo l’esercito singalese, prima del suo arrivo virtualmente allo sbando, alla schiacciante vittoria sulle Tigri Tamil. Una volta cessate le ostilità, Fonseka, lasciato l’esercito, aveva debuttato nell’arena politica, concorrendo alle elezioni presidenziali del 2010 come principale avversario di Rajapaksa. Sebbene Fonseka fosse stato sconfitto dal presidente in carica, il suo vasto potenziale elettorale era risultato evidente. La carriera politica dell’ex generale aveva però subito una repentina interruzione quando, l’8 febbraio 2010, era stato arrestato con la motivazione, invero pretestuosa, di avere architettato un colpo di stato militare ai danni del governo.[35] Sottoposto al giudizio di una corte marziale, Fonseka era stato riconosciuto colpevole e condannato a scontare tre anni di carcere. La sua detenzione, tuttavia, si era conclusa in anticipo, quando, il 21 maggio del 2012, era stato rilasciato in seguito alla concessione della grazia da parte del presidente. È probabile che tale iniziativa fosse stata provocata dalla reazione della comunità internazionale di fronte all’incarcerazione di Fonseka, interpretata come l’ennesimo abuso di potere messo in atto dall’amministrazione Rajapaksa. Il fatto che la grazia presidenziale fosse giunta il 18 maggio 2012, poche ore prima dell’incontro a Washington tra il ministro degli Esteri dello Sri Lanka, G. L. Peiris, e il segretario di stato statunitense, Hillary Clinton, non è quindi apparso come una coincidenza.[36] Quali che siano stati i motivi che hanno spinto il presidente a concedere la grazia, tale decisione ha permesso a Fonseka di presentarsi alle elezioni. Il risultato è stato che il suo partito, il Democratic Party, ha ottenuto l’8% dei voti nella Western Province, diventando la terza forza politica dell’area, mentre nella Southern Province ha guadagnato oltre il 6% dei consensi.[37]

Sebbene siano sorte delle controversie riguardo al diritto di voto attivo e passivo di Fonseka, avendo quest’ultimo subìto delle condanne penali che ne impedirebbero l’esercizio, la Commissione Elettorale singalese ha stabilito che, almeno fino a quando non venga presentata un’obiezione in tribunale, non intraprenderà nessuna azione per invalidare i diritti civili dell’ex generale. In realtà, benché la costituzione singalese neghi per sette anni il diritto di voto a coloro che hanno scontato un periodo detentivo di almeno sei mesi, in caso di ottenimento della grazia presidenziale tale limitazione verrebbe a decadere.[38] Il ritorno di Fonseka sulla scena politica ha di conseguenza fatto sorgere alcune aspettative circa la possibilità di una sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali. Tuttavia, il risultato delle elezioni provinciali svoltesi in settembre nella provincia di Uva, nel sud dell’isola, ha ridimensionato le speranze del Democratic Party, il quale è riuscito a superare l’1% dei consensi solamente nel distretto elettorale di Wellawaya. Ciò che ha accomunato il voto di marzo e quello di settembre è stato invece la riconferma dell’UPFA come forza politica di maggioranza. Anche nel caso della provincia di Uva, però, l’alleanza partitica guidata da Rajapaksa ha registrato un significativo calo della propria percentuale di voto, passata dall’81% delle elezioni del 2009 al 51%. Il principale beneficiario del calo di popolarità dell’UPFA è stato, in questa circostanza, il maggiore partito d’opposizione singalese, l’UNP, il quale, grazie al 40% dei consensi, ha pressoché raddoppiato il proprio numero di seggi, passando ad occuparne 13, rispetto ai sette conquistati nel 2009.[39] Il merito di tale notevole risultato è da attribuire non tanto al leader storico dell’UNP, Ranil Wickremesinghe, quanto piuttosto al giovane candidato Harin Fernando, il quale è riuscito a ottenere sorprendenti risultati, specialmente nel distretto elettorale di Badulla.

In definitiva, si può affermare che la frammentazione dei partiti di opposizione ha permesso all’UPFA di conservare il potere in tutte e tre le province in cui il voto ha avuto luogo. Inoltre, durante la campagna elettorale svoltasi nella provincia di Uva, la Commissione Elettorale e altri organismi di monitoraggio del voto hanno denunciato il perpetrarsi di numerosi abusi, quali intimidazioni ed atti di violenza, avvenuti nell’indifferenza delle forze dell’ordine.[40] Tali soprusi, compiuti principalmente a danno dei partiti di opposizione, erano il naturale riflesso di un apparato statale disfunzionale, le cui anomalie erano attribuibili alla graduale concentrazione di potere nelle mani del presidente.

  1. Estremismo buddista e violenza settaria

Il nazionalismo buddista sinhala è un movimento politico radicale che affonda le sue radici negli ultimi anni del XIX secolo, basando la propria ideologia sulla presunta supremazia culturale del gruppo etnico maggioritario dello Sri Lanka. Entrato sulla scena politica singalese in seguito all’ottenimento dell’indipendenza, nel 1948, il nazionalismo buddista si è consolidato, acquisendo un carattere marcatamente ostile alle minoranze etniche del paese. Non vi è poi dubbio che tale ideologia abbia avuto un ruolo sia nello scoppio della guerra civile, sia nel suo sanguinoso svolgimento nell’arco di 26 anni. Il governo Rajapaksa è però stato il primo a sposare l’ideologia buddista sinhala.[41] A partire dalla fine della guerra, l’estremismo buddista ha gradualmente assunto una connotazione specificatamente anti musulmana, e in parte anche anti cristiana, acquisendo una crescente legittimità sia a livello politico che sociale. Nello Sri Lanka contemporaneo, l’ascesa del buddismo radicale è stata principalmente favorita dal gruppo militante Bodu Bala Sena (BBS, letteralmente, brigata del potere buddista), che, dal momento della sua creazione nel 2012, ha messo in atto una strategia mirata a promuovere tra la popolazione l’ostilità contro le minoranze religiose dell’isola.[42]  Attraverso una retorica che ritrae i membri della comunità musulmana come una minaccia per l’etnia di maggioranza, il BBS è stato il principale responsabile di una serie di attacchi ai danni della minoranza musulmana, rimasti per lo più impuniti. L’ostilità anti islamica, che a partire dal 2102 si era manifestata attraverso numerosi episodi di violenza, durante il 2014 ha acquistato intensità e dimensioni allarmanti, principalmente grazie all’atteggiamento conciliante dell’amministrazione Rajapaksa nei confronti del nazionalismo buddista. Il 15 giugno, nella città meridionale di Aluthgama e in altre aree circostanti, è infatti scoppiato un vero e proprio tumulto settario, che ha portato all’uccisione di due musulmani e un tamil e al ferimento di circa ottanta persone.[43] L’episodio ha rappresentato per lo Sri Lanka uno degli episodi di violenza religiosa più cruenti degli ultimi decenni.

Apparentemente, la violenza anti musulmana ad Aluthgama è stata sprigionata da un litigio automobilistico, avvenuto il 12 giugno, tra alcuni giovani musulmani e un monaco buddista accompagnato dal proprio autista. In seguito alla lite, il BBS ha infatti organizzato una serie di manifestazioni pubbliche in difesa del monaco, incitando all’odio religioso e alla violenza anti islamica gli abitanti delle aree di Beruwala, Dharga Town e Aluthgama, dove sono avvenuti i maggiori disordini. I tumulti che sono seguiti alle manifestazioni del BBS hanno visto folle di fanatici buddisti attaccare, derubare e incendiare abitazioni, attività commerciali e altre proprietà, per lo più appartenenti a musulmani, incluse alcune moschee, una scuola materna e una clinica medica. Nonostante il coprifuoco imposto dalla polizia in seguito ai primi episodi di violenza, i tumulti si sono protratti fino alla notte del 17 giugno, provocando lo sfollamento di circa 10.000 persone, soprattutto musulmani.[44] Nei giorni seguenti, nonostante l’intervento dell’esercito, la violenza non è comunque completamente cessata, dato il perdurare di focolai di tensione.

La durata e l’intensità degli attacchi hanno penosamente messo in luce l’incapacità del governo e della polizia di mantenere l’ordine pubblico. Sono occorse 72 ore, infatti, affinché le autorità si risolvessero a bloccare le manifestazioni del BBS, ponendo così fine ai disordini. Inoltre, stando alle testimonianze delle vittime, pare che le forze dell’ordine si siano dimostrate complici degli stessi assalitori, assistendo impassibilmente agli attacchi ed evitando di intervenire per frenare le sommosse.[45] Il governo Rajapaksa, dal canto suo, ha sollecitato i media nazionali a non pubblicare notizie relative ai tumulti di Aluthgama, giustificando tale richiesta col pretesto di non fomentare la disarmonia etnica. Nonostante l’imposizione della censura, che ha incluso il blocco dei siti web di alcuni quotidiani, alcuni giornalisti hanno ugualmente tentato di documentare gli attacchi, divenendo a loro volta vittime degli assalitori.[46]

Sebbene l’esplosione di violenza fosse inizialmente apparsa come un avvenimento spontaneo, in risposta al presunto sopruso verbale subìto da un monaco buddista, alcune circostanze parrebbero convalidare l’ipotesi secondo cui gli attacchi sarebbero invece il frutto di un piano organizzato. Innanzitutto, l’arsenale con cui gli assalitori erano equipaggiati, che comprendeva armi da fuoco, bombe molotov e bombole di gas, lascia pensare ad un certo livello di preparazione logistica. Allo stesso modo, molte delle zone colpite dalla violenza hanno assistito ad un’interruzione della fornitura di energia elettrica e alla disattivazione delle linee telefoniche. Infine, secondo quanto dichiarato da alcuni testimoni di etnia sinhala, gli assalitori non sarebbero stati residenti dell’area, bensì forestieri provenienti da altre zone, condotti nell’area di Aluthgama e di Beruwela con uno scopo preciso, ovvero fomentare la violenza settaria.[47]

Se tali indizi inducono a ipotizzare l’esistenza di una pianificazione alla base dell’ondata di violenza verificatasi in giugno, ad avvalorare la teoria dell’attacco premeditato vi sarebbe anche un altro fattore. Mangala Samaraweera, membro del partito d’opposizione UNP, ha infatti apertamente accusato il governo di coprire, attraverso la secretazione di alcuni documenti, tre ufficiali dei servizi segreti singalesi che avrebbero spalleggiato il BBS durante l’offensiva anti musulmana. Senza contraddire tali accuse, il portavoce dell’esercito, Ruwan Wanigasooriya, durante una conferenza stampa, ha significativamente affermato: «[…] qualche politico, grazie ai suoi privilegi parlamentari, sta tentando di rivelare dettagli segreti sui membri dell’intelligence nazionale».[48]Quindi, Wanigasooriya, non negando il coinvolgimento degli ufficiali dei servizi segreti, ha di fatto diffidato i membri del parlamento dal diffondere informazioni riservate, rafforzando in tal modo la teoria secondo cui l’intelligence nazionale sarebbe stata implicata nello sprigionamento della violenza settaria. Il segretario alla Difesa ha invece negato ogni coinvolgimento da parte del suo dicastero, anche se pare ormai accertato che il BBS goda di un qualche patrocinio all’interno dell’apparato statale, tanto che proprio Gotabhaya Rajapaksa sembra esserne il principale fautore.[49] L’ambiente favorevole in cui il BBS è riuscito fino ad ora ad operare, godendo di un elevato livello di impunità e di un’ampia disponibilità di mezzi, difficilmente avrebbe potuto crearsi se non con l’appoggio diretto delle istituzioni statali. Ne è prova non soltanto il fatto che il leader del BBS, il monaco Galagoda Aththe Gnanasara, abbia potuto condurre indisturbato la serie di manifestazioni pubbliche all’origine dell’ondata di violenza anti musulmana, ma anche che tra le 135 persone arrestate in seguito agli attacchi, Gnanasara non fosse tra queste. Inoltre, i 13 attivisti del BBS arrestati dalla polizia per avere istigato e fomentato gli attacchi sono stati prontamente rilasciati in seguito alla minaccia di Gnanasara di autoimmolarsi nel caso in cui i membri del suo gruppo fossero stati ulteriormente trattenuti.[50]

L’ipotesi, assai verosimile, secondo cui certe sezioni dell’amministrazione statale avrebbero favorito l’ascesa dell’estremismo buddista sul panorama nazionale, vede alla base di questa dinamica un interesse principalmente di tipo elettorale. Se infatti l’elettorato tende generalmente a scegliere i propri rappresentanti rispondendo all’evocazione dei simboli emotivamente più potenti, l’utilizzo di politiche identitarie, volte a mobilitare la popolazione su linee religiose, può risultare una tattica vincente da un punto di vista elettorale.[51] Il calo di popolarità subito dalla coalizione al potere in occasione delle elezioni provinciali avrebbe infatti potuto essere compensato dalla messa in atto di una strategia indirizzata alla creazione di un nuovo nemico interno. Tale tattica era infatti potenzialmente in grado di compattare la piattaforma elettorale sinhala su basi esclusivamente etniche, marginalizzando di conseguenza altri fattori generalmente influenti sulla scelta del voto.[52] Considerate le circostanze, che vedono, da un lato, il presidente Rajapaksa ansioso di mantenere solida la propria base elettorale, e, dall’altro, una popolazione sempre meno entusiasta della coalizione al potere, è quanto meno probabile che l’amministrazione singalese abbia dimostrato una certa tolleranza verso l’estremismo buddista nella speranza di potere raccogliere in blocco il voto della popolazione sinhala.

  1. 7. L’annuncio di elezioni anticipate e la comparsa di fratture nella coalizione di governo

La teoria sopraesposta appare tanto più verosimile se si considera come l’ansia del governo Rajapaksa, riguardo ad un possibile declino elettorale, fosse emersa in modo esplicito attraverso la decisione di anticipare di circa due anni la data delle elezioni presidenziali. Queste ultime, che avrebbero dovuto avere luogo alla fine del 2016, sono state spostate dal presidente al gennaio 2015, allo scopo dichiarato di potere ottenere un terzo mandato.[53] A causa di una vera e propria anomalia costituzionale, nello Sri Lanka è infatti possibile indire elezioni anticipate in presenza di un governo ancora in carica, come già accaduto in occasione delle ultime elezioni presidenziali.[54] Inoltre, grazie alla promulgazione del discusso 18° emendamento, avvenuta nel 2010, il limite di due mandati presidenziali è stato abolito, permettendo così a Rajapaksa di essere il primo presidente della storia dello Sri Lanka a ricandidarsi per la terza volta di fila. Se, date le circostanze, l’annuncio di elezioni anticipate pareva avere automaticamente determinato l’esito della futura competizione elettorale, a ovvio vantaggio del presidente, l’apertura di inaspettate crepe nella coalizione di governo ha letteralmente scompaginato le carte in gioco. Per la prima volta dal 2005, ovvero da quando Rajapaksa è in carica, la solidità del governo dell’UPFA è stata scossa da una serie di defezioni, che hanno aperto la strada a possibili nuovi scenari politici, prima inimmaginabili. Innanzitutto, il 18 novembre 2014, il partito Jathika Hela Urumaya (JHU), di orientamento nazionalista sinhala, è uscito dalla coalizione di governo; parallelamente, Patali Champika Ranawaka, membro del JHU, ha rassegnato le sue dimissioni da ministro della Tecnologia e della Ricerca. Tuttavia, la fuoriuscita del JHU dall’UPFA non è stata esclusivamente dettata da un aperto contrasto con il governo in carica, quanto da calcoli strategici finalizzati a mantenere aperte tutte le possibili alternative, in vista delle prossime elezioni presidenziali.[55] Se l’abbandono del JHU ha costituito un avvenimento rilevante, ma non in grado di minare la stabilità e le prospettive future del governo Rajapaksa, la defezione del ministro della Salute, Maithripala Sirisena, avvenuta il 21 novembre, è invece risultata un’azione gravida di conseguenze. L’ex ministro, passato all’UNP, era infatti uno dei membri di maggiore spicco del governo, nonché il segretario generale dello Sri Lanka Freedom Party (SLFP), ovvero il principale partito all’interno dell’UPFA, a cui apparteneva lo stesso Rajapaksa. La sua diserzione dall’SLFP era invero motivata dalla inaspettata decisione di presentarsi, come candidato comune dell’opposizione, alle imminenti elezioni presidenziali. Il passo compiuto da Sirisena ha immediatamente trovato un ampio e trasversale appoggio, che comprendeva quello, politicamente cruciale, dell’ex presidentessa dello Sri Lanka, Chandrika Bandaranaike Kumaratunga, probabilmente la vera artefice dell’iniziativa. Kumaratunga, dopo la cessazione del suo mandato presidenziale nel 2005, aveva iniziato a collaborare con la statunitense Clinton Foundation, intrattenendo stretti rapporti con le diplomazie occidentali, per lo più maldisposte nei confronti dell’amministrazione Rajapaksa. Nelle settimane che hanno preceduto le dimissioni di Sirisena, l’ex presidentessa pare quindi essersi prodigata, in patria e all’estero, nel tentativo di creare un fronte comune, credibilmente sostenuto da Stati Uniti, Europa e India, in grado di sfidare Rajapaksa e il suo governo.[56] Sulla candidatura alla presidenza dell’ex ministro della Salute è poi confluito il favore sia del Democratic Front di Fonseka, sia del JHU. Le dimissioni di Sirisena hanno inoltre aperto un vero e proprio varco nell’SLFP, portando alla fuoriuscita di altri cinque parlamentari, tra cui il ministro della Pesca, Rajitha Senaratne, tutti confluiti nell’UNP.[57]

Le motivazioni che hanno spinto Sirisena ad abbandonare il gabinetto Rajapaksa e a candidarsi nei ranghi dell’opposizione sono da ricondurre ad una profonda insoddisfazione nei confronti della leadership autoritaria e nepotistica del presidente. L’ex ministro ha infatti dichiarato che: «Il paese è governato da una malcelata dittatura, in cui i membri di una sola famiglia gestiscono l’amministrazione e l’economia», prospettando quindi l’intenzione di abolire il 18° emendamento, nel caso fosse eletto presidente.[58] Inoltre, è ragionevole ritenere che il fronte politico formatosi a sostegno di Sirisena mirasse anche a ridefinire la politica estera del paese, riavvicinandolo agli Stati Uniti e all’Europa ed evitando così eventuali ripercussioni economiche derivanti da un deterioramento dei rapporti con i due grandi partner commerciali dell’isola.

Questi avvenimenti, tuttavia, non si sono risolti in un’immediata crisi di governo: l’UPFA ha infatti continuato a godere di una solida maggioranza, come ha dimostrato la votazione per l’approvazione della legge finanziaria 2015, avvenuta in parlamento il 24 novembre, con il favore di 152 deputati su 225. In quell’occasione, può avere giocato a favore del governo il fatto che Rajapaksa abbia più o meno velatamente minacciato i parlamentari recalcitranti dell’UPFA, avvisandoli di essere in possesso di documenti compromettenti sul loro conto.[59] Ciò nondimeno la defezione di Sirisena ha lanciato quella che si può definire come la prima seria sfida al governo dell’UPFA, da quando la coalizione amministra la nazione. Il presidente Rajapaksa si è infatti trovato di fronte ad una duplice minaccia: da un lato, l’erosione dei consensi registratasi alle urne, in occasione delle elezioni provinciali di marzo e di settembre; dall’altro l’emergere di un’opposizione interna al suo stesso partito e il prospettarsi di un duro confronto per il mantenimento della carica presidenziale. Sirisena potrebbe infatti essere l’unico candidato in grado di contendere a Rajapaksa i voti della popolazione rurale sinhala, che ha fino ad ora costituito il nocciolo duro della sua ampia base elettorale. Soprattutto, Sirisena ha saputo dare una soluzione ai problemi che, durante gli anni del governo Rajapaksa, avevano reso debole e frammentata l’opposizione. La candidatura di Sirisena è infatti riuscita a compattare i partiti d’opposizione attorno a una leadership solida e prestigiosa, rendendo verosimile l’eventualità di sottrarre a Rajapaksa l’opportunità di prolungare le sua presidenza per un terzo mandato.

  1. Politica estera

In seguito alla conclusione del conflitto civile, lo Sri Lanka è gradualmente entrato nell’orbita cinese, consolidando le proprie relazioni con Pechino dal punto di vista sia economico che politico. L’amministrazione Rajapaksa ha infatti dimostrato il proprio sostegno alla Cina, appoggiando pienamente la strategia perseguita da Pechino di promozione della cosiddetta «nuova via marittima della seta», mirata a consolidare la presenza del gigante asiatico sull’Oceano Indiano. Grazie ai notevoli investimenti cinesi nell’economia dell’isola, lo Sri Lanka ha a sua volta potuto beneficiare dell’amicizia con Pechino per rafforzare la propria posizione di fondamentale snodo marittimo e finanziario dell’Oceano Indiano. La Cina è infatti divenuta il principale investitore diretto, nonché il maggiore paese donatore, dello Sri Lanka, finanziando la realizzazione di imponenti progetti. Tra questi spiccano il porto e l’aeroporto internazionale di  Hambantota, la centrale energetica a carbone di Norochcholai, un nuovo terminal portuale a Colombo e la prima autostrada singalese a quattro corsie. Dal 2009, Pechino ha inoltre concesso allo Sri Lanka una serie di prestiti a lungo termine che, sebbene non siano vincolati ad alcuna regolamentazione, a differenza di quelli erogati dalle agenzie internazionali, vedono un tasso di interesse sul debito decisamente elevato rispetto a quello praticato da istituti di credito quali la Banca Mondiale o l’Asian Development Bank.[60]

Se l’economia dell’isola ha comunque beneficiato della prodigalità cinese, l’attiva collaborazione creatasi tra i due paesi è stata d’altro canto il riflesso di un’affinità tra le rispettive aspirazioni politiche. L’instaurazione di relazioni strategiche, attraverso la costruzione di infrastrutture marittime sulle coste dei paesi litorali dell’Oceano Indiano, ha infatti rappresentato per Pechino uno strumento per affermare i propri interessi commerciali e militari sull’area, entrando in tal modo in competizione con le aspirazioni indiane. L’alleanza stretta con lo Sri Lanka rientrava quindi all’interno di un più ampio disegno, noto come la strategia del «filo di perle», mirata ad imporre l’influenza cinese sulle acque che dalla Cina portano al Golfo Persico e al Mar Rosso.

L’amicizia tra Pechino e Colombo, notevolmente rafforzatasi nel corso del 2013 in seguito alla firma di un Accordo di Cooperazione Strategica (Strategic Cooperative Partnership), è stata sottolineata nel settembre dell’anno seguente dalla visita del presidente cinese Xi Jinping nello Sri Lanka. Questo viaggio ha rappresentato un evento molto significativo, essendo la prima volta, negli ultimi 28 anni, in cui un presidente cinese si è recato in visita nell’isola. L’incontro tra Xi Jinping e Mahinda Rajapaksa è stato di notevole importanza anche in virtù della firma di 27 accordi, i quali prevedevano una serie di ingenti investimenti cinesi in vari settori e l’attuazione di un piano di cooperazione strategica e militare.[61] Tra gli accordi economici più rilevanti, spiccava l’imponente progetto per la costruzione di un’isola artificiale di fronte a Colombo, che grazie ad un prestito cinese di 1,4 miliardi di dollari, potrà ospitare la costruzione di un nuovo porto destinato, sulla carta, a divenire uno degli scali più importanti della «nuova via marittima della seta». Durante la visita del presidente cinese, i due paesi hanno quindi deciso di avviare i negoziati che porteranno, entro il 2015, alla firma dell’Accordo di Libero Scambio (Free Trade Agreement). Quest’ultimo è destinato ad incrementare il volume di scambi commerciali tra i due stati, che già notevolmente cresciuto a partire dal 2005, ha permesso alla Cina di sostituirsi agli Stati Uniti come il secondo partner commerciale dello Sri Lanka, dopo l’India.

L’alleanza tra Pechino e Colombo si è inoltre articolata su un vettore anti statunitense, dal momento che Washington si è resa promotrice delle risoluzioni dell’UNHRC concernenti i crimini di guerra. È d’altro canto verosimile ipotizzare che la pressione esercitata dagli Stati Uniti in seno all’UNHRC rappresentasse per Washington uno strumento destinato ad allontanare Colombo dall’orbita cinese.

Gli Stati Uniti non sono però l’unica nazione a cui l’amicizia tra i due paesi asiatici è risultata invisa. La vicinanza geografica e culturale rendeva infatti lo Sri Lanka un paese tradizionalmente legato all’India. Il rafforzarsi dei legami fra Colombo e Pechino si è pertanto sviluppato in concorrenza con le ambizioni indiane di mantenere lo Sri Lanka nella propria orbita politica ed ecomica. In effetti il rinserrarsi dei rapporti fra Cina e Sri Lanka è stata vista a Delhi come parte di una strategia cinese di «accerchiamento» del Subcontinente; cioè una vera e propria minaccia per gli interessi nazionali dell’India. Il voto sfavorevole dell’India, in merito ad un intervento diretto dell’UNHRC nello Sri Lanka, ha quindi credibilmente costituito uno sforzo, da parte di Delhi, di venire incontro alle esigenze del proprio vicino, evitando di spingerlo ulteriormente nelle braccia dell’antagonista cinese. L’India, che in passato è stata condizionata nelle sue relazioni con lo Sri Lanka dalla influente componente tamil nazionale, decisamente ostile alle politiche del governo Rajapaksa, è quindi parsa, nel corso del 2014, mutare posizione, adottando una condotta fondata soprattutto su considerazioni di realpolitik.

Dopo la votazione avvenuta a marzo presso l’UNHRC, che già aveva sancito un mutamento nell’atteggiamento indiano sulla questione, l’insediamento a Delhi di un nuovo governo ha aperto la strada a scenari inediti riguardo ai rapporti con lo Sri Lanka. La grande vittoria ottenuta dal Bharatiya Janata Party (BJP) in occasione delle elezioni nazionali indiane del maggio 2014, ha infatti permesso al governo guidato da Narendra Modi di prescindere, nel proprio atteggiamento verso lo Sri Lanka, dalle istanze esercitate dai partiti tamil. L’amplissima maggioranza detenuta dal nuovo governo indiano è infatti risultata tale da permettergli una libertà di manovra di cui i precedenti governi della United Progressive Alliance (UPA) non avevano mai goduto. L’amministrazione Modi non si è comunque dimostrata insensibile alle rivendicazioni della popolazione tamil dello Sri Lanka, continuando a sollecitare insistentemente il governo Rajapaksa affinché questo trovasse «una soluzione politica in grado di andare incontro alle aspirazioni di equità, dignità e giustizia della comunità tamil».[62]

In seguito all’instaurazione del governo del BJP in India, i rapporti tra Delhi e Colombo sono quindi parsi migliorare, subendo un’evoluzione positiva anche in merito all’annosa questione dei pescatori tamil indiani arrestati, e talvolta uccisi, dalla marina militare dello Sri Lanka. I pescatori del Tamil Nadu, tradizionalmente, tendono infatti a spingersi sino all’isolotto singalese di Katchatheevu, dove di frequente vengono intercettati e trattenuti dalle autorità dello Sri Lanka.[63]L’argomento è stato spesso causa di frizioni tra i due paesi, soprattutto per via della posizione intransigente adottata dai leader politici del Tamil Nadu, desiderosi che il governo centrale indiano adottasse un approccio maggiormente aggressivo nei confronti dello Sri Lanka. La questione dei pescatori tamil sembra che abbia ricevuto una soluzione proprio in seguito all’insediamento di Narendra Modi a Delhi, salutato dal rilascio di 74 pescatori, il 14 agosto 2014, da parte dell’amministrazione Rajapaksa, in segno di buona volontà. Il gesto ha così riaperto la strada al dialogo bilaterale sul problema, sebbene i negoziati tra i due paesi non siano riusciti a giungere ad una soluzione condivisa.[64]

Se nella prima parte del 2014 le relazioni tra lo Sri Lanka e il vicino indiano hanno assistito ad un sviluppo piuttosto positivo, a partire dal mese di novembre, si è verificato un improvviso mutamento di tendenza. L’ormeggiamento temporaneo, nel porto di Colombo, di un sottomarino a propulsione nucleare e di una nave da guerra cinesi ha infatti provocato la reazione indignata di Delhi. Sia le autorità cinesi che quelle singalesi hanno tentato di mitigare la portata dell’avvenimento, descrivendolo come il risultato di una «normale pratica internazionale», mirata al semplice rifornimento di carburante. A dispetto di queste rassicurazioni, l’episodio non poteva che destare l’enorme preoccupazione dell’amministrazione indiana, che ha individuato nell’atteggiamento del governo singalese un inaccettabile gesto di ostilità. L’ormeggiamento delle due imbarcazioni da guerra cinesi avveniva inoltre in violazione dell’accordo tra India e Sri Lanka del luglio 1987, che vietava l’utilizzo a scopo militare dei porti singalesi da parte di altri stati e imponeva ai due firmatari che i rispettivi territori non fossero impiegati per «attività compromettenti l’unità, l’integrità e la sicurezza dei due paesi».[65] L’episodio, oltre ad allarmare l’India, spingendola a riconsiderare le proprie relazioni con lo Sri Lanka, è stato giudicato minaccioso anche dal governo statunitense. Il percorso del sottomarino da guerra, giunto sino al Golfo Persico, ha infatti rappresentato il primo viaggio conosciuto di un’imbarcazione cinese di questo tipo attraverso l’Oceano Indiano. L’espansione e l’incremento dell’attività della flotta sottomarina nucleare cinese ha rappresentato per gli Stati Uniti la sfida più significativa emersa nell’area dell’Oceano Indiano. «L’accrescimento della capacità cinese di concretizzare le proprie rivendicazioni territoriali» ha di conseguenza avuto un ruolo determinante nel ridisegnare le relazioni diplomatiche e strategiche all’interno della regione, influendo di conseguenza sui rapporti tra l’India e lo Sri Lanka.[66] Il fatto che l’amministrazione Rajapaksa abbia ignorato le reiterate proteste dell’India, che aveva messo in guardia lo Sri Lanka circa le conseguenze derivanti dall’ospitare nei propri porti imbarcazioni belliche cinesi, ha di certo generato una profonda diffidenza da parte di Delhi nei confronti del governo dell’isola. Secondo Brahma Chellaney, esperto indiano di relazioni internazionali, è assai probabile che l’episodio possa portare con sé degli strascichi, influendo a lungo termine sulle relazioni indo-singalesi.[67]

  1. Politica economica

La crescita economica registrata dallo Sri Lanka durante il 2014 è stata elevata, attestandosi al 7,5% del PIL. Il dato ha d’altronde confermato una tendenza che, nell’ultimo decennio, ha visto il paese crescere economicamente ad un tasso medio annuo del 6,4%.[68] Tale crescita è stata il risultato degli ingenti investimenti pubblici nella costruzione di infrastrutture e, soprattutto, della costante espansione del settore privato, in particolare quello industriale e quello dei servizi, che durante l’anno in esame hanno visto una crescita rispettivamente del 12,4% e del 6,1%.[69]Sebbene il turismo sia stato un settore che ha ampiamente beneficiato degli investimenti pubblici e privati, impennandosi del 33% durante il 2014, esso ha contribuito ancora in modo marginale alla crescita economica dello Sri Lanka, attestandosi a circa il 2% del PIL.[70] A dispetto di questi aspetti positivi, il 2014 ha rappresentato nello Sri Lanka un anno disastroso per quanto concerne il settore agricolo, la cui crescita, già precedentemente in rallentamento, è precipitata allo 0,2%.[71]Questo dato era da ricondurre alla drammatica siccità che ha afflitto il paese tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, la quale ha influenzato in modo estremamente negativo l’andamento della produzione agricola, comparto nel quale è impiegato circa il 31% della popolazione.[72] Il cattivo corso dei monsoni, che ha vessato lo Sri Lanka per tre anni consecutivi, ha chiaramente avuto gravi conseguenze per gli agricoltori, che hanno visto il proprio reddito declinare costantemente a causa della mancanza di acqua per l’irrigazione, della scarsità di sementi di qualità e degli insostenibili livelli di indebitamento. La prolungata assenza di precipitazioni ha avuto un drastico impatto specialmente sulla produzione di riso, decresciuta di tre milioni e mezzo di tonnellate rispetto all’anno precedente, ponendo così una grave minaccia alla sicurezza alimentare dell’intero paese. La diminuzione nella produzione di riso è stata compensata tramite il ricorso alle importazioni, che, in ottobre, ne hanno fatto aumentare il prezzo del 36% rispetto al 2013.[73] Le condizioni climatiche avverse hanno danneggiato in modo particolare l’area nord-orientale, dove è stata rovinata quasi metà delle coltivazioni.[74] La provincia Settentrionale e quella Orientale, le aree più arretrate dell’isola da un punto di vista economico, pesantemente colpite dal cattivo andamento dei monsoni, risultavano in una situazione disastrosa.[75] La siccità del 2014 ha colpito circa 1,8 milioni di singalesi, danneggiando in modo gravissimo soprattutto i piccoli coltivatori, ovvero la maggioranza degli agricoltori nelle aree vessate dall’aridità del clima.[76]L’arrivo del monsone nella regione meridionale, in giugno, non ha oltretutto portato il sollievo sperato, presentando precipitazioni talmente copiose e concentrate in un breve lasso di tempo da causare danni devastanti al territorio e alla popolazione, colpita da frane, alluvioni e uragani.

Nell’ultimo decennio, nello Sri Lanka, le catastrofi naturali legate alla violenza delle precipitazioni monsoniche pare abbiano causato una perdita economica quantificabile in un miliardo di dollari, senza considerare gli enormi costi umani che esse hanno presentato.[77] I cambiamenti climatici, e le conseguenti calamità meteorologiche, hanno posto in essere un serio rischio per lo sviluppo economico e sociale dello Sri Lanka; si prevede infatti che l’instabilità del clima nell’area aumenterà, a detrimento dell’agricoltura, delle risorse idriche, dell’ambiente, del settore energetico e della pesca.

Per quanto concerne gli altri aspetti economici, è da rilevare come il tasso di inflazione, che nel febbraio 2013 aveva raggiunto un picco del 9,9% a causa della politica di svalutazione della rupia, durante il 2014 sia costantemente diminuito, passando dal 4,4% di inizio anno, al 3,5% registrato ad agosto.[78] Sebbene la diminuzione dell’inflazione non abbia coinvolto i prezzi dei beni alimentari, generalmente aumentati a causa del cattivo andamento del monsone, essa è stata accompagnata da un abbassamento dei tassi di interesse sui prestiti bancari, la cui esosità era stata motivo di una contrazione del credito al settore privato.[79]

L’economia continuava poi ad essere caratterizzata da alcune debolezze strutturali, la prima delle quali può essere individuata nel costante deficit della bilancia commerciale, circostanza all’origine delle forti svalutazioni della rupia avvenute negli anni precedenti. Ciò nondimeno, durante il primo semestre del 2014, l’aumento del 16,8% delle importazioni, accompagnato da una lieve diminuzione delle importazioni dell’1,2%, pareva configurare un discreto miglioramento della situazione, portando il debito singalese dai 4,44 miliardi di dollari del 2013 a 3,55 miliardi.[80] Su una base cumulativa, il deficit della bilancia commerciale era quindi diminuito, nel giugno 2014, di circa il 20% rispetto all’anno precedente, principalmente grazie alla tenue ripresa economica dei mercati europei e statunitensi, ossia i maggiori importatori di prodotti provenienti dallo Sri Lanka. Hanno inoltre contribuito a ridurre il deficit commerciale singalese l’incremento degli investimenti esteri diretti, pressoché duplicati, l’aumento delle rimesse degli emigrati, cresciute di oltre il 10%, e la notevole espansione del turismo.[81] Nel mese di agosto, l’improvviso e consistente aumento delle importazioni, prevalentemente di petrolio, non è riuscito ad invertire la tendenza positiva sopra illustrata; tuttavia, tale circostanza ha messo in luce la precarietà dei risultati raggiunti e le fragilità caratterizzanti la composizione e la struttura del commercio singalese verso i mercati esteri, scarsamente differenziato e basato prevalentemente sulle esportazioni di tè e prodotti tessili.[82]

Un ulteriore punto debole dell’economia singalese era rappresentato dal consistente deficit fiscale, che, nel corso del 2013, era risultato del 5,8% in rapporto al PIL ed era aggravato dalla pessima situazione finanziaria in cui versavano molte imprese governative.[83]

Nonostante il consistente aumento del reddito pro capite registratosi negli ultimi due decenni, il gettito fiscale del paese ha subito una costante erosione, giungendo a rappresentare, nel 2012, circa l’11% del PIL. Tale problema era imputabile sia ad un sistema difettoso ed iniquo di tassazione, in cui le imposte indirette coprivano l’80% circa delle entrate, sia ad un’elevata evasione fiscale. A dispetto delle misure adottate negli scorsi anni al fine di giungere ad un consolidamento fiscale, mediante un ampliamento della base impositiva indiretta anche al settore finanziario, nel 2013 le entrate nelle casse dello stato sono comunque risultate piuttosto deludenti. Esse si sono attestate al 13,6% del PIL, mancando l’obiettivo di ridurre il deficit fiscale al 5,2%, nel corso del 2014. Alla fine del mese di aprile, infatti, il gettito fiscale singalese era risultato inferiore di oltre il 15% rispetto alle aspettative, portando il deficit a 347 miliardi di rupie già nell’arco del primo quadrimestre e facendo allontanare il traguardo prestabilito.[84]

Per quanto concerne la legge finanziaria per l’anno 2015, essa è stata notevolmente influenzata dalla decisione di anticipare le elezioni presidenziali al gennaio appunto del 2015 e dal conseguente obiettivo di modellarla in modo da aumentare le possibilità per Rajapaksa di essere rieletto. Di qui una serie di misure che avrebbero comportato un aumento significativo della spesa pubblica, incrementata del 15% rispetto all’anno precedente; tra questi provvedimenti di natura espansiva sono da segnalare: l’incremento delle pensioni e dei salari minimi degli impiegati sia pubblici che privati; una riduzione dei prezzi del carburante e delle tariffe dell’elettricità e dell’acqua; un aumento dei sussidi agli agricoltori, duramente colpiti dalla siccità; una diminuzione dell’1% dell’imposta sul valore aggiunto e un abbassamento del limite massimo di tassazione sul reddito al 16%; lo stanziamento di incentivi politici ed economici alle piccole e medie imprese; un incremento delle risorse finanziarie destinate alla salute e all’istruzione, che avrebbero visto salire le somme a loro disposizione, rispettivamente, da 117,6 miliardi di rupie a 139,5 e da 75,9 miliardi di rupie a 96,5.[85] Una considerevole parte della spesa pubblica sarebbe poi stata destinata, in linea con la politica economica degli ultimi anni, allo sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti. La legge finanziaria per il 2015 ha inoltre previsto un consistente incremento, di circa il 12%, dell’importo destinato al settore della Difesa, assecondando una tendenza che, dalla fine della guerra civile, ha paradossalmente visto aumentare in modo costante la spesa pubblica per questo comparto. Gli stanziamenti economici per la Difesa sarebbero risultati nel 2015 di 285 miliardi di rupie, ovvero il 16% della spesa totale; inoltre, secondo fonti ufficiose, tale somma potrebbe ulteriormente aumentare, per giungere a 370 miliardi entro il 2017.[86] Vale poi la pena notare che il presidente Rajapaksa, ricoprendo contemporaneamente la carica di ministro della Difesa, ministro della Finanza e ministro dei Trasporti, avrebbe da solo avuto il controllo su circa il 40% dei fondi stanziati dalla legge finanziaria.[87] L’unico settore che pare non avere tratto beneficio dal carattere espansivo della legge finanziaria è stato quello della Tecnologia e della Ricerca, sul quale è convogliato solamente lo 0,23% della spesa totale.

Nonostante le misure destinate ad aumentare la spesa pubblica, e a mantenere i consensi tra la popolazione, la legge finanziaria cercava di mantenere gli obiettivi di consolidamento fiscale e di riduzione del debito pubblico, ammontante al 75% del PIL.[88] Secondo i disegni del governo, l’espansione dello schema per il pagamento delle tasse arretrate avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’assicurare nuove entrate nelle casse dello stato; tramite l’erogazione di prestiti agevolati, gli evasori fiscali avrebbero ottenuto un finanziamento, da restituire entro cinque anni, per ripagare il loro debito ad un tasso di interesse del 6%.[89] Il proposito di portare il deficit fiscale al 4,6% del PIL risultava però poco realistico e in deciso contrasto con la linea espansiva perseguita dalla legge di bilancio per il 2015. Se si aggiunge il fatto che la manovra finanziaria prevedeva anche un aumento del limite massimo di indebitamento da parte del governo, innalzato di 440 miliardi di rupie, l’incoerenza della politica economica perseguita dall’amministrazione Rajapaksa appare evidente.[90]

Per concludere, la legge finanziaria per il 2015 conteneva in sé gli elementi per soddisfare pressoché ogni settore sociale, mantenendo contemporaneamente, almeno sulla carta, l’obbiettivo del rigore fiscale. Tuttavia, l’incoerenza di fondo della legge non era il suo difetto principale. Questo era piuttosto rappresentato dalla mancanza di un piano strutturale a lungo termine, in grado di rendere autopropulsivo lo sviluppo economico del paese. Una critica che rimane valida anche se si considera che, rispetto agli anni precedenti, la legge finanziaria per il 2015 ha posto una maggiore attenzione alla valorizzazione del capitale umano.

Two main political trends characterized Sri Lanka in 2014. The first was the persistence of those political features which had been taking shape since the establishment of the Rajapaksa administration in 2005. Indeed, since his election, President Percy Mahendra Rajapaksa has benefited from both a large parliamentary majority and mass support. The latter was strengthened by the victorious conclusion, in 2009, of the civil war against the Tamil Tigers. Accordingly, in 2010, President Rajapaksa was able to change the Constitution, enacting the 18th Amendment, which brought about both an expansion of the presidential powers and the possibility for a President to be elected for a third consecutive term (Rajapaksa was in his second term). During the years of Rajapaksa’s government, the country has witnessed both the implementation of repressive policies and either the inability or the lack of political will in bringing about a reconciliation between the Sinhala and Tamil communities, after the long civil war. Such a political climate worsened in 2014, because of the consolidation of Rajapaksa’s authoritarian regime, resulting in the rampant and conspicuous militarization of both state institutions and civil society. Furthermore, in the first months of the year, the apprehension caused by the supposed resurgence of the Tamil Tigers contributed to legitimate the increased presence of the army in the North-Eastern area of the country (namely in that part of the island were the Tamils are the majority). At the same time, the government extensively involved the military personnel in its urban development policy, which resulted in further erosion of the democratic space. Last but not least, the year under review saw the further sectarian polarization of society, this time to the detriment of the Muslim community. Such a polarization was fostered by Sinhalese Buddhist nationalist movements, particularly the radical organization Bodu Bala Sena («Buddhist Power Force», BBS), which, in June 2014, promoted anti-Muslims violence in Beruwala, Dharga Town and Aluthgama, resulting in one of the worst religious riots in recent times.

Nevertheless, alongside with those developments, the first signs of vulnerability on part of the Rajapaksa government started to become visible. First, the regime was put under pressure by a United Nations Human Rights Council’s resolution, which accused the Sri Lanka government of war crimes and human rights violations. Second, in occasion of the provincial elections, held in March and September 2014, the ruling coalition, the United People’s Freedom Alliance (UPFA), faced an unprecedented decline in the popular vote. Such a decline persuaded President Rajapaksa to anticipate the presidential election to 8 January 2015, with the aim to be re-elected for a third mandate before losing further popular support. The decision to anticipate the presidential election was followed by the emergence of rifts within the ruling coalition, made visible by the resignation of three UPFA ministers. Crucially important was the resignation of Health Minister Maithripala Sirisena, who went over to the opposition, was able to unite it, and became the opposition common presidential candidate, emerging as an existential challenge to President Rajapaksa’s hitherto undisputed position of power. 

 

[1] UN rights council approves inquiry into alleged abuses in Sri Lanka war, ‘UN News Centre’, 27 marzo 2014, (http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=47447#.VH3UYcnwH3g).

[2] UN vote on Sri Lanka adopted, India abstains, ‘Business Standard’, 26 agosto 2014.

[3] Danila Berloffa, Sri Lanka: l’involuzione democratica del governo Rajapaksa, ‘Asia Maior 2013’, pp. 197-199.

[4] UN vote on Sri Lanka adopted, India abstains cit.

[5] Sri Lanka visa ban won’t stop UN inquiry – Navi Pillay, ‘BBC News’, 19 agosto 2014.

[6] Sri Lanka reduces regional disparity in economic growth, ‘Colombo Page’, 10 settembre 2013.

[7] Rajapaksa sees Opposition bid to topple him with global support, ‘The Hindu’, 24 marzo 2014.

[8] Bridging the narratives in Sri Lanka, ‘The Hindu’, 19 aprile 2014.

[9] Indian activist, Pakistan lawyer in Sri Lanka’s missing persons probe panel, ‘The Hindu’, 19 agosto 2014.

[10] Shooting Incident at Tharmapuram: Is There a Real LTTE Resurgence in the North? ‘Daily Mirror’, 22 marzo 2014.

[11] S. Jayanth, Sri Lankan military kills alleged «LTTE suspects», ‘World Socialist Web Site’, 16 aprile 2014, (http://www.wsws.org/en/articles/2014/04/16/sril-a16.html).

[12]Sri Lanka’s Prevention of Terrorism Act should be repealed, ‘The Hindu’, 30 settembre 2014.

[13] Sri Lankan army heightens security, ‘The Hindu’, 25 marzo 2014.

[14] J. S. Tissainaygam, Why Sri Lanka is serving ties between Tamils at home and abroad, ‘Foreign Policy’, 21 aprile 2014.

[15] Sri Lanka: Asset Freeze Threatens Peaceful Dissent, ‘Human Rights Watch’, 7 aprile 2014, (http://www.hrw.org/ku/node/124533).

[16] No room For LTTE To Regroup In Sri Lanka Or Overseas – Suresh Premachandran, in ‘The Sunday Leader’, 20 aprile 2014.

[17] 175 miliardi di rupie corrispondono circa a un milione di euro.

[18] Military Expenditure Database – Sri Lanka 2012, ‘Stockholm International Peace Research Institute’, (http://milexdata.sipri.org/result.php4); Military Expenditure Data – Sri Lanka 2014, ‘The World Bank’, (http://data.worldbank.org/indicator/MS.MIL.XPND.GD.ZS); Sri Lanka ups defence budget, ‘Defence and Security Agenda’, 22 ottobre 2013.

[19] Darini Rajasingham Senanayake, Post-war Development, Militarization and the Logistics of Humiliation in Sri Lanka, ‘Fourth Critical Studies ConferenceDevelopment, Logistics, and Governance’, Kolkata, 10 settembre 2011, p. 1.

[20] Sri Lanka marks end of war in victory parade, ‘Aljazeera’, 18 maggio 2014, (http://www.aljazeera.com/news/asia/2014/05/sri-lanka-marks-end-war-victory-parade-201451882456289502.ht).

[21] Vilani Peiris, Sri Lankan think tank criticises mass evictions in Colombo, ‘World Socialist Web Site’, 15 maggio 2014, (http://www.wsws.org/en/articles/2014/05/15/evic-m15.html).

[22] Kishali Pinto-Jayawardena, Jayantha de Almeida Guneratne e Radika Guneratne, Not This Good Earth; Land Rights, Displaced Persons And The Law In Sri Lanka, Law & Society Trust, Colombo 2013.

[23] Bar Association Condemns Illegal Eviction Of Families And Militarization, ‘Colombo Telegraph’, 31 gennaio.

[24] Vilani Peiris, Sri Lankan think tank criticises mass evictions in Colombo cit.

[25] Bhavani Fonseka, The Spectre of Evictions and Land Grabs in Colombo, ‘Groundviews’, 26 agosto 2014.

[26] Forced evictions in Colombo: The ugly price of beautification, ‘Centre for Policy Alternative’, 9 aprile 2014, (http://www.cpalanka.org/forced-evictions-in-colombo-the-ugly-price-of-beautification).

[27] Blackwater In The USA And Rakna Arakshaka Lanka In Sri Lanka?, ‘Colombo Telegraph’, 26 agosto 2012.

[28] Recent Militarization Of Sri Lankan Life: The Elephant In The Room!, ‘Colombo Telegraph’, 16 febbraio 2013.

[29] Sri Lanka: AHRC Replies to Defence Ministry letter that seeks to restrict NGO freedoms, ‘Lanka News Web’, (http://lankanewsweb.net/news/8170-ahrc-replies-to-defence-ministry-letter-that-seeks-to-restrict-ngo-freedoms), 11 luglio 2014 e Rampant militarisation of state apparatus, ‘The Hindu’, 2 agosto 2014.

[30] The Constitution of the Democratic Socialist Republic of Sri Lanka, Art. 14.

[31] Rajapaksa sees Opposition bid to topple him with global support, ‘The Hindu’, 24 marzo 2014.

[32] Si ricorda che il Provincial Council della provincia Settentrionale è l’unico governato da un partito di opposizione, ovvero la Tamil National Alliance.

[33] Message from Sri Lankan polls, ‘The Hindu’, 1° aprile 2014.

[34] UPFA wins Matara and Hambantota districts, ‘Daily Mirror’, 30 marzo 2014.

[35] Defeated presidential candidate accused of plotting to overthrow the President in military coup, ‘The Independent’, 9 febbraio 2010.

[36] The Fonseka release, Rajapaksa strategy and international pressure, ‘VivaLanka’, 21 maggio 2012.

[37] Provincial Council Elections Results 2014, ‘Sri Lanka Departement of Elections’, (http://www.slelections.gov.lk/pastElection2.html).

[38] The Constitution of the Democratic Socialist Republic of Sri Lanka, Art. 89(d).

[39] Uva Provincial Council Elections – an analysis, ‘News First’, 21 settembre 2014, (http://newsfirst.lk/english/2014/09/need-headline-5/54534).

[40] Violation of election laws to be legalized, ‘The Sunday Times’, 21 settembre 2014.

[41] Neil DeVotta, Sinhalese Buddhist Nationalist Ideology: Implications for Politics and Conflict Resolution in Sri Lanka, ‘Policy Studies’, N° 40, East-West Center Washington, 2007, pp. 1-3.

[42] Si ricorda che i musulmani e i cristiani dello Sri Lanka rappresentano rispettivamente il 9,7% e il 7,4% della popolazione totale; Department of Census and Statistics, Sri Lanka Census of Population and Housing, 2011, (http://www.statistics.gov.lk/PopHouSat/CPH2011/index.php?fileName=pop42&gp=Activities&tpl=3).

[43]Ayesha Zuhair, Is BBS the new face of Buddhist revivalism?, ‘Groundviews’, 13 luglio 2014.

[44] The Human Tragedy Of Aluthgama, ‘The Sunday Leader’, 22 giugno 2014.

[45] Buddhist-Muslim Unrest Boils Over in Sri Lanka, ‘New York Times’, 16 giugno 2014.

[46] Sectarian violence in south declared off-limits for media, ‘Reporters Without Borders’, 17 giugno 2014, (http://en.rsf.org/sri-lanka-sectarian-violence-in-south-17-06-2014,46465.html).

[47] D.B.S.Jeyaraj, Anatomy of Anti-Muslim Violence: How «Bodhu Bala Sena» Mobs Caused Mayhem in Aluthgama and Beruwela, 29 June 2014, (http://dbsjeyaraj.com/dbsj/archives/3065).

[48] Wasantha Rupasinghe, Sri Lankan military warns against exposing its involvement in anti-Muslim violence, ‘World Socialist Web Site’, 3 luglio 2014, (http://www.wsws.org/en/articles/2014/07/03/sril-j03.html).

[49] Berloffa, Sri Lanka: l’involuzione democratica del governo Rajapaksa cit., pp. 191-192.

[50]Bald Buddhist Sinhala (BBS) Monkey threatens ‘Self Immolation’ to release thugs arrested by Tamil officer…, ‘Lanka Newspapers’, 27 giugno 2014.

[51] S.J. Kaufman, Modern Hatreds: The Symbolic Politics of Ethnic War, Cornell University Press, Ithaca 2001, pp. 15-47.

[52] Riza Yehiya, Is Sri Lanka sinking in to an abyss of racism and apartheid?, ‘Groundviews’, 11 agosto 2014.

[53] Sri Lanka President Mahinda Rajapaksa calls for snap polls; seeks unprecedented third six-year term, ‘The Indian Express’, 20 novembre 2014.

[54] Marzia Casolari, Sri Lanka 2010: l’anno del Presidente, ‘Asia Maior 2010’, pp. 171-174.

[55] While opposition seeks its Presidential common candidate Parties leaving UPFA shakes Government’s Popularity, in ‘Daily Mirror’, 20 novembre 2014.

[56] K. Ratnayake, Sri Lankan minister quits ruling party to contest presidential election, in ‘World Socialist Web Site’, 24 novembre 2014, (http://www.wsws.org/en/articles/2014/11/24/sril-n24.html).

[57] Defections a conspiracy, won’t be deterred: Rajapaksa, in ‘Business Standard’, 23 novembre 2014.

[58] K. Ratnayake, Sri Lankan minister quits ruling party to contest presidential election cit.

[59] Sri Lanka’s Rajapaksa wins 2015 budget vote despite defections, in ‘Reuters’, 24 novembre 2014, (http://uk.reuters.com/article/2014/11/24/uk-sri-lanka-budget-idUKKCN0J81CD20141124).

[60] Experts Divided Over Sri Lanka’s Growing Dependence on China, in «The New Indian Express», 16 settembre 2014.

[61]Deepal Jayasekera, Chinese President visits Sri Lanka to strengthen strategic ties, in ‘World Socialist Web Site’, 20 settembre 2014, (http://www.wsws.org/en/articles/2014/09/20/jing-s20.html).

[62] Ensure equality, dignity to Tamils: Modi urges Sri Lanka, in ‘Deccan Chronicle’, 23 agosto 2014.

[63] India-Sri Lanka Fishermen Dispute Remains Complicated Despite Modest Advances, in ‘The Diplomat’, 13 marzo 2014.

[64] Fishing talks fail as Lanka rejects Indian proposals, in ‘The Sunday Times’, 31 agosto 2014.

[65] Chinese submarine docking in Lanka ‘inimical’ to India’s interests: Govt, in ‘The Times of India’, 3 novembre 2014.

[66] Jeremy Page, Deep Threat. China’s Submarines Add Nuclear-Strike Capability, Altering Strategic Balance, in ‘Wall Street Journal’, 24 ottobre 2014.

[67] Chinese submarine docking in Lanka ‘inimical’ to India’s interests: Govt. cit.

[68] Sri Lanka Overview, in ‘The World Bank’, 31 marzo 2014, (www.worldbank.org/en/country/srilanka/overview).

[69] Sri Lanka: Economy, in ‘Asian Development Bank’, Manila, 2014, (http://www.adb.org/countries/sri-lanka/economy).

[70] Asian Development Outlook. Fiscal Policy for Inclusive Growth-Sri Lanka, in ‘Asian Development Outlook 2014’, Manila.

[71] Sri Lanka: Economy cit.

[72] Central Intelligence Agency, South Asia: Sri Lanka, in ‘The World Fact Book’, 23 giungo 2014, (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/ce.html).

[73] Retail Prices of Rice and Wheat Flour in Colombo, Sri Lanka, in ‘Food Price Monitoring and Analysis’, Food and Agriculture Organization of the United Nations, 16 ottobre 2014, (http://www.fao.org/giews/food-prices/regional-roundups/detail/en/c/260769).

[74] Sri Lanka – Rapid Drought Impact Assessment: Food Security and Livelihoods Affected by Erratic Weather, in ‘World Food Programme Publications’, aprile 2014, p. 4.

[75] In queste regioni, la porzione di popolazione che viveva in condizioni di povertà era infatti decisamente più elevata rispetto alla media nazionale, ammontante al 6,7%, raggiungendo picchi del 28,8% nel distretto di Mullaithivu e del 20% in quello di Mannar. Blistering Drought Leaves the Poorest High and Dry, in ‘Inter Press Service News Agency’, 29 settembre 2014, (http://www.ipsnews.net/2014/09/blistering-drought-leaves-the-poorest-high-and-dry).

[76] Humanitarian Bulletin Sri Lanka, in ‘Office for the Coordination of Humanitarian Affairs’, 29 agosto 2014.

[77] Sri Lanka Overview cit.

[78] Sri Lanka: Economy cit.

[79] Sri Lanka pushes banks to cut lending rates, in ‘Reuters’, 23 settembre 2014, (http://www.reuters.com/article/2014/09/23/sri-lanka-economy-rates-idUSL3N0RO19R20140923).

[80] A dipped deficit-Central Bank, in ‘Daily News’, 23 agosto 2014.

[81] Sri Lanka: Economy cit.

[82] Fundamental structural weaknesses in trade, ‘Sunday Times’, 10 marzo 2013.

[83] Asian Development Outlook cit.

[84] Sri Lanka tax revenue down, but budget deficit goal seen achievable, in ‘Reuters’, 2 luglio 2014, (http://in.reuters.com/article/2014/07/02/srilanka-economy-deficit-idINL4N0PD1N620140702).

[85] Budget 2015: Benefits for state sector employees, senior citizens, university students, in ‘News First’, 24 ottobre 2014, (http://newsfirst.lk/english/2014/10/2015-budget-presentation-concludes/59684) e Budget 2015: A deeper look, in ‘Ceylon Today’, 2 novembre 2014.

[86] Sri Lanka outlines 12% defence budget increase, in ‘IHS Jane’s 360’, 28 settembre 2014, (http://www.janes.com/article/43773/sri-lanka-outlines-12-defence-budget-increase).

[87] Five Facts You Should Know About The Rajapaksa Budget, in ‘Colombo Telegraph’, 15 ottobre 2014.

[88] Sri Lanka president prepares budget with eye on election, in ‘Reuters’, 23 ottobre 2014, (http://in.reuters.com/article/2014/10/23/sri-lanka-budget-idINL3N0SG5V120141023).

[89] Budget 2015: A deeper look cit.

[90] Holes in the Budget, in ‘The Sunday Times’, 16 novembre 2014.

 

Giorgio Borsa

The Founder of Asia Maior

Università di Pavia

The "Cesare Bonacossa" Centre for the Study of Extra-European Peoples

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