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Singapore: successi economici e autoritarismo

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* Desidero ringraziare Annamaria Baldussi per le critiche e i suggerimenti sempre utili e efficaci.

1. Introduzione

Gli avvenimenti verificatisi a Singapore nel corso del 2010 hanno contribuito al rafforzamento della narrazione più diffusa della città-stato, quella cronachistica caratterizzata dalla scansione dei successi materiali in campo economico e nel settore della produzione industriale che, nel corso di pochi decenni, hanno trasformato il paese da emporio portuale coloniale a capitale della finanza mondiale [Chong 2010]. Gli accadimenti avversi, come nel caso delle crisi economiche del 1985, del 1997 e del 2008 o dei contagi della SARS o degli attacchi terroristici dell’11 settembre, in questa narrazione hanno avuto una duplice funzione. Da un lato sono stati validi espedienti che hanno messo alla prova il governo e ad esso hanno consentito di dimostrare efficienza ed esperienza nella risoluzione dei problemi. Dall’altra hanno permesso all’esecutivo di enfatizzare i rischi e la vulnerabilità del paese e, di conseguenza, di attuare e legittimare misure autoritarie volte a garantire la sicurezza. Il tema della sicurezza è diventato, insieme a quello del successo, un pilastro sul quale è stata costruita l’identità singaporiana. Esso si fonda sull’evidenziazione della vulnerabilità della città-stato, dovuta alle ridotte dimensioni del suo territorio e alla mancanza di risorse naturali, in un contesto regionale caratterizzato da instabilità politiche, da conflitti frontalieri e da pericoli terroristici [AM 2009, pp. 187-189].

La ripetizione del mantra dei successi, per quanto reali, ha rappresentato una parte della costruzione dell’egemonia materiale e ideologica del paese. Infatti, le politiche volte essenzialmente alla conquista dei primati economici hanno legittimato la leadership al comando e hanno consolidato la guida del governo da parte del PAP (People Action Party), ininterrottamente al timone dal 1965. In secondo luogo, tali politiche hanno consentito di mettere in sordina le critiche e il dibattito sul rapporto tra lo sviluppo del capitalismo e l’autoritarismo che si è sviluppato agli inizi degli anni Ottanta, quando la caduta dei regimi autoritari di Taiwan e della Corea del sud sembrava aver smentito la teoria secondo cui il capitalismo asiatico non avrebbe potuto sopravvivere in un contesto politico autoritario (Beeson 2004). Infine, l’enfasi sui record nel settore economico e finanziario ha permesso di oscurare le problematiche legate alla coesione sociale dei gruppi etnici, alla libertà di stampa e ai problemi del lavoro degli immigrati.

La coesione etnica, in realtà, appartiene all’altro filone della narrazione di Singapore, oltre quello del successo materiale, cioè quello che evidenzia l’asserita armonia multiculturale e la meritocrazia, in quanto strumenti per raggiungere il successo a livello personale e, nel medesimo tempo, per garantire la sicurezza nel processo di costruzione della nazione.

Il risultato di queste narrazioni è l’edificazione di un microcosmo, epicentro del capitalismo nella regione, che presenta le qualità del progresso nella forma della crescita economica e del benessere dei cittadini ma, allo stesso tempo, come dice il politologo David Harvey, presenta la tendenza «sclerotica» a tenere in vita strutture ridondanti [Harvey 2000].

2. L’economia e la finanza prima di tutto: elenco dei record

I maggiori successi del 2010 si riferiscono principalmente al settore dell’economia. In particolare, il tasso di crescita del PIL, nel corso del 2010, ha raggiunto altissimi livelli, 15% in più rispetto al 2009, dopo aver segnato un record parziale del +19,5% nel secondo quartile e un calo precipitoso del 23,7% negli ultimi quattro mesi dell’anno. Il ministero dell’Industria e del Commercio ha comunicato che la crescita del PIL nel 2011 si attesterà tra il 4% e il 6% [W/MTI «Forecasts Growth of 15.0 Per Cent in 2010 and 4.0 to 6.0 Per Cent in 2011», § 2]. Il tasso di inflazione è cresciuto del 3,4% rispetto al 2009, una cifra lontana dal 7,5% del 2008. Anche la borsa ha fatto segnare numeri da record con l’indice del Straits Times che ha chiuso l’anno con 3.200 punti, in crescita del 10% rispetto al 2009 [W/FTSE].

I numeri hanno dimostrato che il paese è uscito definitivamente dalla crisi degli anni 2008-2009, ciò che è stato reso possibile grazie ad una combinazione di fattori interni ed esterni. Sul fronte internazionale, la ripresa dell’economia degli Stati Uniti, ma soprattutto la crescita inarrestabile della Cina hanno consentito a Singapore di riprendere le esportazioni su livelli pari a quelli del periodo che ha preceduto la crisi del 2008 [W/T «Singapore Export 2010»]. Sul fronte interno, i settori manifatturieri e farmaceutici hanno fatto registrare un calo della produzione, dovuto soprattutto al fatto che, durante il 2010, ci sono state molte ristrutturazioni aziendali. Ciò nonostante l’economia nazionale ha tratto vantaggi dalla nascita di nuove imprese nel settori dell’alta tecnologia e in quello turistico. Si è registrato, infatti, il record del numero di turisti pari a 12 milioni (+24% rispetto al 2009), richiamati dagli spettacoli musicali e sportivi di prestigio e di portata internazionale. L’apertura di due nuovi resort, fra i più grandi al mondo, ha contribuito a raggiungere i risultati record ma ha suscitato anche un dibattito in parlamento in merito all’alto numero di giovani e di minorenni che hanno frequentato i casinò delle strutture. Il ministro per i Giovani e per lo sport, Vivian Balakrishnan, al fine di attenuare questa tendenza ha disposto un provvedimento con il quale è stata abolita la gratuità del servizio di navetta per raggiungere i resort dal centro città [W/EIU, 15 ottobre 2010, «Singapore politics: The government struggles to come to terms with casinos»].

I risultati record nell’economia sono stati raggiunti grazie al pacchetto di misure di stimolo alla crescita che il governo aveva attuato nei primi mesi del 2009 e che è stato confermato anche per il 2010. Si è trattato di un complesso di agevolazioni fiscali che hanno portato a un regime di imposizione tra i più bassi nell’ambito dei paesi sviluppati (17% in totale – era il 24% nel 2004 – e comunque al di sopra della tassazione di Hong Kong del 16,5%). A ciò si aggiunge il fatto che non c’è una tassa sul capital gain (cioè, si esclude totalmente la tassazione delle plusvalenze da cessione di partecipazioni azionarie e titoli similari e si applica l’esenzione fiscale dei redditi da capitali). Infine si prevede una serie di esenzioni per i nuovi investitori che intendono operare a Singapore [W/EIU 12 luglio 2010, «Singapore: The operating environment»]. Per le persone fisiche l’aliquota è del 20% per redditi superiori a 320.000 dollari di Singapore (pari a circa 183.500 euro). Inoltre, nel mese di ottobre 2010, Singapore è uscito dalla cosiddetta «lista grigia» dell’OECD (Organization for Economic Co.operation and Development) che faceva della città stato uno dei paradisi fiscali più conosciuti al mondo.

Un altro primato di cui la città stato si è potuta fregiare è stata l’indicazione della Banca Mondiale e dell’International Finance Corporation’s Doing Business secondo cui Singapore è stato il miglior paese nel mondo in cui fare affari. Questo dato è stato confermato anche dalla agenzia di rating francese COFACE [W/C]. E ancora, scorrendo la lista dei primati, Singapore, secondo il Transparency International’s 2010 Corruption Perceptions Index è al primo posto, insieme alla Danimarca e alla Nuova Zelanda, per trasparenza e per il più basso indice di corruzione [W/TR «Corruption Percep- tion Index 2010»].

Altrettanto prestigioso è il 3° posto raggiunto da Singapore nella classifica dei paesi più competitivi al mondo stilata dal World Economic Forum’s assessment of competitiveness: la città-stato asiatica si è piazzata subito dopo la Svizzera e la Svezia, sorpassando per la prima volta gli Stati Uniti [W/WEF].

3. Le questioni interne

Rincuorato dalle ottime notizie che arrivavano dai settori economici, il governo del PAP ha potuto rivolgere le sue attenzioni alle strategie in vista delle prossime elezioni previste per il 2012, che, a detta della grande maggioranza dei commentatori, con tutta probabilità gli permetteranno di incassare, in termini elettorali, il risultato dei primati positivi raggiunti nel settore economico.

Gli analisti hanno sostenuto che la vittoria del PAP alle prossime elezioni sia scontata; questo anche se il partito, da anni, deve fare i conti con una disaffezione degli elettori che, a partire dal 2001, ha portato ad un calo dell’8% del voto popolare (dal 75% al 67%), pur garantendogli 82 degli 84 seggi del parlamento unicamerale. Bisogna poi ricordare che, al di là dei grandi successi economici, durante il 2010 il PAP ha dovuto affrontare e gestire questioni spinose. Tra queste, innanzitutto c’è stata e ci sarà quella rappresentata dal rinnovamento interno della classe dirigente, in considerazione anche dell’età avanzata di Lee Kwan Yew. Lee, infatti, rimane influente nelle dinamiche del partito e nella costruzione dell’identità nazionale, ma, per cause anagrafiche, è ormai prossimo al ritiro dalla vita pubblica. Inoltre, altre questioni spinose che il PAP si trova a dover affrontare sono rappresentate dal problema dell’immigrazione, altra faccia della questione dell’invecchiamento della popolazione e del basso indice di natalità, e dalle questioni della costruzione di nuove abitazioni e della sicurezza [Mutalib 2010, pp. 59-61].

Anche se, a prima vista, gli ultimi due sono problemi relativi alla gestione ordinaria, è possibile che l’insieme dei problemi ricordati e l’enfasi a loro data dai media inducano effettivamente il governo a maturare la decisione di uno scioglimento del parlamento per andare alle elezioni anticipate. Già durante gli ultimi mesi del 2009 erano corse voci simili e tali si sono ripetute con insistenza durante l’autunno del 2010. Queste voci giustificano la possibile decisione del PAP di ricorrere ad elezioni anticipate, in base a due ragionamenti. Il primo sarebbe la volontà di sfruttare l’onda dei successi economici; il secondo ragionamento fa riferimento al desiderio del partito di maggioranza di prevenire l’emorragia di voti che potrebbe verificarsi in seguito agli emendamenti alla legge elettorale introdotti nell’aprile 2010 per volontà dello stesso PAP.

Da quest’ultimo punto di vista, vale la pena di ricordare che, in base alle nuove norme elettorali, il partito di maggioranza dovrà sicuramente far a meno di 18 membri parlamentari [W/EIU 2 novem- bre 2010, «Singapore politics: Early election?»]. La nuova legge ha previsto, infatti, che, dei 94 membri eletti, nove appartengano ai partiti dell’opposizione (i più votati) e altri nove siano nominati dal parlamento. Inoltre, il provvedimento legislativo ha incrementato il numero dei Single-Seat Constituencies e ha ridotto quello del Group Representation Constituencies (GRCs). I Single-Seat sono i collegi elettorali che eleggono un unico candidato e, in tutto, non possono essere meno di otto; i GRC, invece, sono i collegi elettorali che eleggono un numero di candidati compreso fra tre e sei, fra cui almeno uno deve essere un rappresentante delle minoranze etniche. I membri eletti sia nei Single Seat che nei GRC hanno, comunque, un diritto di voto limitato soltanto per alcune questioni.

Il PAP ha giustificato gli emendamenti alla legge elettorale con il fatto che era necessario incrementare la qualità del dibattito nella legislatura, senza fare riferimento alcuno al desiderio, manifestato da più parti, di garantire la possibilità di espressione in parlamento di più voci di opposizione. Le aperture del PAP devono essere, tuttavia, messe in relazione con la nuova legge sull’ordine pubblico che permette al governo di limitare o soffocare l’espressione pubblica di dissenso attraverso la proibizione sia di manifestazioni pubbliche, sia di film, libri e media [Au Waipang 2010, pp. 101-102].

Dal punto di vista delle limitazioni dei diritti di espressione da parte del governo, ci sono stati dei fatti clamorosi. Tra gli altri, ha suscitato un caso diplomatico la condanna a sei settimane di carcere di Alan Shadrake, un giornalista inglese, per aver offeso il sistema giudiziario con il libro «Once A Jolly Hangman: Singapore Justice In The Dock» di denuncia sulla pena di morte a Singapore. Altrettanto grave è apparsa la censura del video e il divieto di pubblicare e detenere il file in cui Lim Hock Siew, un militante del partito comunista negli anni ‘60, arrestato nel 1963 e liberato nel 1982 senza mai esser stato processato, raccontava gli anni trascorsi in carcere. La pena prevista per chi pubblica o detiene il video di Lim Hock Siew è di due anni di carcere e una sanzione di 10.000 dollari singaporiani (circa 7.500 euro), un provvedimento che è stato motivato in base alla «mancanza di interesse pubblico» della vicenda di Lim [W/ST 13 luglio 2010, «Ban on video recording of Lim Hock Siew speech»]. Questi eventi, tra gli altri, hanno contribuito a decretare un primato negativo nella classifica mondiale della libertà di stampa in cui Singapore si attesta al 136° posto [W/RSF «Press Freedom Index 2010»].

L’annuncio della costruzione dei nuovi nuclei abitativi o dello stanziamento di fondi per la ristrutturazione delle case statali è diventato, insieme alla questione della sicurezza, uno dei temi principali che hanno condizionato il periodo elettorale fin dal 1997. In quella tornata elettorale, infatti, il PAP aveva conquistato gran parte dei voti tra i possessori delle abitazioni statali con la promessa di agevolazioni per le ristrutturazioni. A Singapore la scarsità di spazi in cui costruire, l’aumento della domanda di case, il conseguente incremento dei prezzi degli affitti e la necessità di ristrutturare il patrimonio abitativo, per una popolazione che per l’85% abita nelle case statali sono sempre stati temi fondamentali per le campagne elettorali. I partiti dell’opposizione, per di più, hanno messo in guardia gli elettori sul fatto che l’arrivo di nuovi immigrati non potrà che peggiorare la carenza di abitazioni [Au Waipang 2010, p. 108].

L’altra questione sulla quale il governo del PAP ha cercato di condizionare gli elettori è quella della sicurezza attraverso l’enfatizzazione delle minacce sempre imminenti che possono arrivare dall’esterno e della vulnerabilità della città stato [AM 2009]. Nel corso del 2010 ci sono state due questioni che hanno tenuto il banco nei media per mesi: i graffiti sui treni della metropolitana e l’estradizione del terrorista Mas Selemat Kastari dalla Malaysia.

Il primo episodio è il caso di due ragazzi stranieri che sono penetrati nel deposito dei treni della metropolitana e hanno disegnato dei graffiti sui vagoni con le bombolette spray. Il fatto è rimbalzato su tutti i giornali per settimane e perfino in parlamento, dove c’è stata una interrogazione al ministro dell’Interno in merito alle attività di prevenzione e repressione di attività di vandalismo e in generale sull’organizzazione della sicurezza nazionale. La paura montata dai media è stata determinata non tanto dalla pericolosità dei giovani imbrattatori quanto dai sistemi di sicurezza che non hanno funzionato. Per di più, uno dei due responsabili non è stato neppure individuato. Il pensiero, in questi casi, è corso subito alla vulnerabilità del paese di fronte a progetti di azioni terroristiche che potrebbero essere ben più organizzate e pericolose di quelle di due semplici graffitari.

Il secondo caso è riferito a Mas Selemat Kastari, un cittadino singaporiano di origini indonesiane, sospettato di far parte del gruppo terroristico della Jemaah Islamiah e di aver progettato attentati terroristici contro Singapore. Sulla base della legge di sicurezza che permette l’arresto senza processo dei sospettati di terrorismo, Mas Selamat Kastari è stato messo agli arresti a Singapore nel 2008, ma è evaso in circostanze ancora poco chiare. Catturato in Malaysia dopo un anno, il sospetto terrorista è stato estradato nel mese di settembre 2010 a Singapore. Rimane però aperta la questione di come sia stata possibile l’evasione nel 2008 [W/ST 29 novembre 2010, «Learning from Mas Selamat saga»].

Attraverso l’enfatizzazione di questi pericoli, il governo ha trovato terreno fertile per rafforzare le misure di sicurezza e, proprio nel giorno dell’estradizione del sospetto terrorista, per ufficializzare il diniego ad una proposta di legge che prevedeva un allentamento delle leggi sulla censura. Con la legge sulla sicurezza, invece, il governo ha proibito, tra l’altro, la visione nei cinema e nelle TV di film vietati ai minori di 18 anni o con contenuti contrari alla pubblica morale, ha decretato la chiusura di circa 100 siti internet con contenuti politici «estremisti», ha posto il divieto di cantare canzoni i cui testi fanno riferimento all’uso di droghe e ha proibito la vendita di riviste come Play Boy [W/DJIN 29 settembre 2010, «Singapore Resists Calls to Liberalize Parts of Censorship Rules»].

4. Lavoro, immigrazione e questione razziale

Il tema del lavoro raramente è entrato a far parte del dibattito pubblico del paese e, normalmente, è stato marginalizzato negli studi accademici. Ciò è dipeso dal fatto che il governo ha limitato gli spazi di dibattito sulla questione del lavoro, soprattutto negli ultimi trent’anni, attraverso un processo di controllo del lavoro che ha portato all’esautoramento della dialettica tra lavoratori, sindacati e governo [Coe, Kelly 2002]. Sebbene Singapore sia stato uno dei primi paesi ad istituzionalizzare, nel 1972, un accordo tra sindacati dei lavoratori, imprese e governo, il dialogo sociale risulta fortemente condizionato, tra l’altro, dalla cooptazione dei sindacalisti nella macchina del governo.

Inoltre, attraverso un processo di costruzione dell’identità fondato sulla meritocrazia e sull’armonia tra le diverse etnie, l’élite al potere è riuscita a plasmare un’immagine dei lavoratori singaporiani che lavorano duro, che partecipano alla vita della comunità e, persino, che producono meno rifiuti e sorridono di più [George 2000]. Di conseguenza, i lavoratori stranieri con bassi livelli di istruzione, di cui il paese ha necessità per i lavori a basso contenuto cognitivo, risultano fortemente discriminati e non possono godere del sistema di welfare dei residenti.

In vista delle prossime elezioni politiche, il tema del lavoro è ricomparso nel dibattito pubblico, soprattutto dopo l’annuncio del governo che ha previsto per il 2010 l’ingresso nel paese di 100.000 lavoratori stranieri. L’esecutivo, consapevole della delicatezza dell’argomento ai fini elettorali per via dei malumori che il tema dell’immigrazione suscita su vari livelli, ha faticato a trovare argomenti convincenti per rispondere da un lato alle richieste delle aziende di favorire l’ingresso di lavoratori dall’estero e dall’altro alle critiche dei partiti dell’opposizione, che chiedono maggiori tagli ai flussi migratori. Il primo ministro Lee Hsien Loong, a più riprese, ha giustificato il provvedimento con la necessità di reclutare i migliori talenti per far crescere l’economia. La quota di immigrati prevista per il 2010, inoltre, ha spiegato il premier ai media, è stata inferiore a quella degli anni precedenti (144.500 nel 2007 e 157.000 nel 2008) e non ha pregiudicato l’armonia tra i gruppi «razziali», come amano definirli a Singapore. Negli ultimi dieci anni, infatti, nonostante il flusso di immigrati, i gruppi hanno mantenuto una composizione costante: i cinesi sono calati leggermente dal 76,9% del 2000 al 76,2% del 2010, i malesi dal 15,1% al 14,9%, gli indiani dal 7,4% al 7,2% [W/ST 1° settembre 2010, «Racial mix stable among citizens»].

In un raro comizio politico, tenutosi nel mese di settembre al Speaker’s Corner Park, l’unico spazio concesso dal governo per questo tipo di attività, il partito di opposizione Singapore Democratic Party (SDP), ha proposto una diminuzione delle quote di ingresso di lavoratori stranieri, l’approvazione di un salario minimo per i singaporiani e un abbassamento del regime fiscale per favorire gli acquisti dei lavoratori residenti. I motivi della proposta di limitazione dei flussi migratori sono legati al fatto che i lavoratori stranieri affollerebbero i mezzi dei trasporti pubblici e aumenterebbero la competizione per i posti di lavoro con i singaporiani. Inoltre, con l’aumento della richiesta di alloggi, i nuovi immigrati farebbero salire i prezzi per gli l’affitti delle case [W/ST 25 settembre 2010, «Singapore opposition party calls for fewer foreigners»].

La questione del salario minimo è stata sollevata dal partito di opposizione e da alcuni blog, dopo che il parlamento di Hong Kong, durante l’estate, aveva dibattuto sulla necessità di approvare un provvedimento simile (legge promulgata successivamente nel mese di novembre). Il motivo principale che ha spinto l’SDP a proporre il progetto di legge sarebbe stato quello di consentire a coloro che guadagnano un salario troppo basso di integrarlo con un contributo statale calcolato sulla paga oraria, garantendo, in questo modo, un livello di vita dignitoso. I proponenti hanno denunciato, tra le altre anomalie del mondo del lavoro non specializzato, il fatto che i salari siano diminuiti con l’invasione dei lavoratori immigrati «remissivi», pronti ad accettare salari inferiori a quelli ufficiali pur di sopravvivere. Di conseguenza, anche i singaporiani si ritrovano di fronte a offerte di lavoro al ribasso.

Nei media più diffusi normalmente non si approfondiscono queste problematiche, tanto che è stato solo grazie ai numerosi blog che si è scoperto come, in realtà, gran parte dei lavoratori immigrati a Singapore non sono tutti quei grandi talenti di cui parla il governo. Si tratta, in realtà, di lavoratori senza specializzazioni o titoli di studio, impiegati come, camerieri, inservienti, addetti alle pulizie, operai edili e, soprattutto, badanti e assistenti sanitari per una popolazione sempre più formata da anziani e da pensionati (10,2% > 65 anni) [W/UNPP].

Sono stati scoperti inoltre, in un video pubblicato su You Tube, i metodi di reclutamento dei lavoratori indonesiani da parte di una agenzia interinale di Singapore. I lavoratori, in gran parte donne, ricevono una formazione preliminare approssimativa e, per contratto, devono accettare delle limitazioni come, per esempio, l’impossibilità di cambiare lavoro o cliente, il divieto di pregare nella casa del cliente o quello di avere un fidanzato/a singaporiano. Si tratta di comportamenti che le agenzie preferiscono non rendere pubblici perché mettono in cattiva luce il rigore delle selezioni del personale effettuate da parte da loro [W/YT «The Maid Trade»].

Il governo e il PAP hanno rifiutato ogni proposta di legge sul salario minimo in quanto il sistema legislativo ha già previsto il cosiddetto workfare, un progetto pilota istituito nel 2007, che prevede l’elargizione di contributi statali per i salari più bassi dei singaporiani residenti permanenti, in parte erogati in contanti e in parte in sgravi fiscali. È prevista inoltre una contribuzione statale per il pagamento dell’affitto o per l’acquisto della casa [W/ST 29 novembre 2010, «Workfare better than minimum wage: PM»].

Tuttavia, sono le stesse statistiche del ministero delle Risorse umane (Manpower) che indicano come i redditi medi negli ultimi dieci anni siano cresciuti soltanto dell’1,1% – il reddito medio è di 1.200 dollari di Singapore (688 euro) – mentre l’inflazione è cresciuta in media dell’1%. Tra i dati più significativi, enfatizzati dal governo, c’è la crescita dei redditi del lavoro part time, cresciuti dell’11% nel 2010, ciò che si traduce in un reddito medio pro capite di 700 dollari di Singapore (400 euro) [W/MOM 30 novembre 2010, «Singapore Workforce, 2010» p. 6, §4]. Il governo non considera però che la rimodulazione legislativa ha previsto il lavoro part time di 35 ore settimanali e non più di 30 ore, con una diminuzione generale delle sicurezze contrattuali e delle previdenze sociali, per una larga parte dei lavoratori del settore dei servizi (pulizie, camerieri, fattorini etc). Questi dati ricalcolati sulla base dell’inflazione dovrebbero portare alla conclusione che più del 30% della popolazione ha guadagnato meno di 1.200 dollari di Singapore (nel 2001 era il 25%) [W/TOC 30 novembre 2010, «Over 30% earn more than $1.200?»]. Per di più queste categorie di lavoratori sono quelle con il tasso di disoccupazione più alto (5,3% contro una media di 4,1%) [W/MOM 30 novembre 2010, «Singapore Workforce, 2010» p. 14].

5. Questioni regionali e internazionali

L’approccio teorico realista alle relazioni internazionali, fondato sulla vulnerabilità dello stato, in virtù della scarsità di risorse nel paese e del fatto che la città-porto è diventata uno dei centri di smistamento delle merci nel processo di globalizzazione, ha radicato l’atteggiamento difensivista del paese e ha portato la sua diplomazia a mantenere ottime relazioni con il maggior numero di paesi. Per questo motivo Singapore ha costruito una fitta e intricata rete di relazioni multilaterali e multipolari attraverso la quale ha cercato di trovare una posizione di equilibrio e, soprattutto, di mantenere la stabilità regionale e internazionale.

La linea seguita da anni dal governo è stata duplice: trovare il massimo equilibrio con le grandi potenze sia sul piano regionale che su quello internazionale; rafforzare la posizione di Singapore attraverso il gruppo dei paesi dell’ASEAN. Il pericolo per la città-stato è rappresentato dai cambiamenti, dalle tensioni o dai conflitti nel panorama internazionale che possono modificare l’assetto delle relazioni economiche-finanziarie del paese. Per questo motivo, Singapore ha proceduto nel corso del 2010 ad agire su tre livelli geopolitici: uno di breve distanza, uno di media e uno di lunga distanza. Nel primo caso l’obiettivo è stato quello di incrementare il processo di integrazione regionale, nel secondo è stato quello di limitare l’egemonia emergente della Cina e promuovere la partecipazione degli USA nei fora di cooperazione asiatici, nel terzo è stato quello di garantire risorse alle sue aziende e di svolgere un ruolo sempre più importante nello scenario internazionale.

Nel breve raggio, la prima questione ha riguardato, in particolare, il rafforzamento del regionalismo nell’Asia del Sud-est con la realizzazione della comunità economica dell’ASEAN entro il 2015 e non più entro il 2020, come era stato annunciato nel 2007. L’anticipazione dei tempi è stata determinata dalla recente crisi economica del 2008-2009, così come la decisione di creare una comunità economica sul modello di quella europea era nata subito dopo la crisi del 1997-1998. In entrambi i casi, l’obiettivo, infatti, è stato quello di creare un fronte unito a livello regionale per prevenire e reagire contro le crisi economiche [Ong Keng Yong 2010, p. 46]. Si è affacciata inoltre, pur con molta cautela, anche la possibilità di far fronte unito contro le crisi e i conflitti politici che dovessero coinvolgere i paesi membri dell’ASEAN, fermo il principio cardine della non ingerenza negli affari interni dei singoli paesi.

La seconda questione è rappresentata dal rafforzamento delle relazioni con la Malaysia, con riferimento particolare al raggiungimento di un accordo che mette fine all’antica disputa sui territori in cui passano le ferrovie che collegano i due paesi. Dopo l’indipendenza dalla federazione malese, nell’agosto del 1965, le ferrovie che conducevano a Singapore sono rimaste sotto il controllo del governo malese. Con l’accordo del 27 settembre 2010, il governo malese ha ceduto la proprietà dei territori su cui sono state costruite le ferrovie e, in cambio, il governo di Singapore ha ceduto sei appezzamenti di terreno nel centro della città-stato. L’accordo ha costituito, inoltre, la base per il rafforzamento delle relazioni commerciali bilaterali [W/ST 25 settembre 2010, «Forging better ties with win-win solution»].

Nel medio raggio, le preoccupazioni di Singapore hanno riguardato le tensioni nell’Asia del nord, in particolare gli attacchi nord-coreani alla Corea del Sud, le tensioni tra Stati Uniti e Cina per la questione dell’apprezzamento della moneta cinese e i conflitti nel Mar Meridionale della Cina per la rivendicazione della sovranità sulle isole Spratly, Paracels, Senkaku e vari scogli affioranti nel Pacifico. Pur non avendo un interesse diretto nelle contese territoriali, Singapore teme ogni sorta di conflitto regionale che potrebbe interrompere le rotte marittime che passano per il suo porto e lo stretto di Malacca. Per questo motivo la diplomazia singaporiana ha premuto affinché da un lato venisse trovata una linea comune all’interno dell’ASEAN e dell’ARF (ASEAN Regional Forum), con l’obiettivo di consolidare un fronte unico e arginare l’egemonia emergente della Cina [W/TD 24 settembre 2010, «The US-China story in South-east Asia»]. Dall’altro, Singapore ha spinto sulle altre diplomazie dell’ASEAN per ottenere un via libera all’ingresso degli USA nei fora asiatici regionali. In questo contesto, i risultati più importanti, dal punto di vista della città-stato, sono stati due. Innanzitutto c’è stata l’importante dichiarazione da parte del segretario di Stato USA, Hillary Clinton, durante il forum dell’ARF, tenutosi a Hanoi il 23 luglio. La Clinton ha affermato che «è interesse ‘nazionale’ degli USA sostenere un processo di collaborazione diplomatica con tutti i paesi che reclamano la sovranità sulle isole del Mar Meridionale della Cina per risolvere le dispute territoriali senza l’uso della forza. Gli Stati Uniti si opporranno all’uso della minaccia della forza di ogni contendente» [Clinton 2010, §10]. La dichiarazione della Clinton, con tutta evidenza, è stata un monito alla Cina e un alto là ai tentativi di Pechino di sfruttare la propria egemonia nella regione per conquistare la sovranità delle isole contese. Il monito della Clinton ha colto nel segno, tanto che un furioso ministro degli Esteri cinese, Jang Jiechi, ha dichiarato che «gli USA vogliono soltanto rendere più complicata la vicenda» [W/ST 7 agosto 2010, «South China Sea issue a test of US commitment»]. In realtà, la Cina non vuole che la questione venga sostenuta dall’ASEAN ma preferisce dirimere le dispute su base bilaterale.

In secondo luogo sono state consolidate le relazioni di amicizia tra L’ASEAN e gli Stati Uniti grazie al secondo incontro ufficiale tenutosi il 25 settembre 2010, dopo quello del 2009, per la prima volta a New York. Durante il summit non si è parlato delle contese nel Mar Meridionale della Cina ma di sicurezza marittima [W/ST 25 settembre No mention of S.China Sea, just maritime security»; W/ST «US, Asean leaders vow closer ties»].

Per quanto tra Singapore e Stati Uniti non ci sia mai stata una alleanza formale, le relazioni tra i due paesi sono sempre state ottime, soprattutto dopo l’11 settembre, quando la città-stato è diventato uno dei partner principali in Asia Orientale per la politica anti-terroristica globale lanciata dagli USA [Chinyong Liow 2010, p. 23]. Nel corso del 2010, a più riprese, il premier Lee ha sostenuto le pressioni degli USA sulla Cina in merito alla rivalutazione dello Yuan, affermando che tutti i paesi asiatici potrebbero trarre vantaggio dalla moneta cinese più forte, oltre la stessa Cina, che vedrebbe diminuire l’inflazione e aumentare la domanda interna [W/CKP 27 settembre 2010, «LHL: pressure not helpful for RMB appreciation»]. I patti di amicizia con l’amministrazione di Obama sono stati suggellati dalla consegna, nel mese di aprile, dei primi 5 di 24 aerei da combattimento F15, acquistati da Singapore negli Stati Uniti lo scorso novembre 2009, per una spesa di 6,5 miliardi di euro. Nell’occasione il primo ministro Lee ha effettuato una visita ufficiale di tre giorni negli USA [W/TD 14 luglio 2010, «S’pore spends on de- fence ‘to feel safe’»].

Le relazioni di cooperazione economica con la Cina hanno proceduto speditamente, in virtù dell’accordo di Free Trade Agreement stipulato nel 2009 e per via della creazione di joint-venture sino-singaporiane nelle zone economiche speciali; le relazioni politiche, invece, hanno proceduto con passi molto lenti. La diffidenza reciproca tra i due paesi ha costituito un limite ancora forte nelle loro relazioni, soprattutto per il diverso modo di agire sulle questioni più delicate, come il conflitto Nord-coreano o quello sulle isole contese nel Pacifico. A Singapore, tuttavia, è stato celebrato il 20° anniversario dell’inizio delle relazioni commerciali con la Cina di Deng Xiaoping; inoltre il premier Lee, nella sua visita di sei giorni in cinque città cinesi, dall’8 al 13 settembre 2010, ha potuto stringere ulteriori accordi di cooperazione commerciale.

Nel lungo raggio, Singapore ha intessuto una miriade di relazioni bilaterali con paesi di tutti i continenti. La partecipazione del premier al G20 di Seul, come ospite osservatore, o al summit dell’APEC, entrambi nel novembre 2010, ha facilitato i contatti con i leader di altri paesi. Lee Hsien Loong, infatti, a margine dei summit ha incontrato i leader di Turchia, Messico e Vietnam e, nell’arco del 2010, il premier ha visitato o ha ricevuto visite dei rappresentanti di Panama, Kazakistan, Cuba, Qatar, Iran, Gabon, Russia, Filippine. Questi contatti sono determinati dalla necessità di accaparrarsi approvvigionamenti di materie prime e fonti energetiche, minerali rari per le industrie dell’hi-tech, e di offrire servizi di transhipment e logistica delle merci.

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Giorgio Borsa

The Founder of Asia Maior

Università di Pavia

The "Cesare Bonacossa" Centre for the Study of Extra-European Peoples

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