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Pakistan 2014: Gli attacchi al governo di Sharif e le tensioni con i militari

  1. Dal dialogo con i militanti alla campagna militare nel Waziristan del nord

I propositi di dialogo con il TTP (Tehrik-i-Taliban Pakistan, alleanza di una dozzina di gruppi militanti operativi in Pakistan), con i quali il nuovo governo di Nawaz Sharif aveva iniziato il proprio mandato nel maggio del 2013, si erano scontrati con l’irrigidimento delle posizioni dei talibani pachistani, all’indomani della morte del loro comandante, Hakimullah Mehsud, ucciso da un drone americano[1]. Tuttavia, all’inizio del 2014, i lavori della commissione governativa incaricata di avviare le trattative con la controparte del TTP progredivano, nonostante le violenze.

Mentre l’unica richiesta concreta del governo era il raggiungimento del «cessate il fuoco», il TTP produceva una lista di rivendicazioni che includeva il ritiro delle forze militari dalle FATA (Federally Adminstered Tribal Areas), la liberazione di detenuti dalle carceri pachistane, il ritiro delle truppe militari statunitensi dall’Afghanistan e l’introduzione della legge islamica nel paese.

Gli attentati che si succedevano alla fine del gennaio del 2014 e nel febbraio successivo, inclusa l’esecuzione di 23 paramilitari prigionieri dei militanti dal 2010,inducevano il governo Sharif a lanciare un’azione militare nel Nord del Waziristan, che interrompeva temporaneamente le trattative in corso. A seguito dei bombardamenti, il TTP proclamava il «cessate il fuoco» per un mese a partire da marzo del 2014, aprendo alla possibilità della ripresa dei negoziati.

Tuttavia le violenze continuavano, anche se, in diverse occasioni, lo stesso TTP ne prendeva le distanze, a dimostrazione dell’assenza di compattezza tra le fila dei militanti, elemento, questo, che non facilitava i colloqui di pace.

Nell’aprile del 2014, il JUI-F (Jamiat-i-Ulema-i-Islam Fazl), partito conservatore fondato su principi religiosi, decideva di ritirare il proprio sostegno all’amministrazione Sharif. Il portavoce del movimento politico dichiarava che la decisione seguiva l’assenza di consultazioni e di coordinamento interno alla coalizione di governo in merito all’adozione di decisioni concernenti il dialogo con il TTP, criticando in particolare l’adozione della Pakistan Protection Ordinance (PPO). La PPO è una normativa controversa, approvata nel 2013 dal presidente della Repubblica Islamica del Pakistan, Mamnoon Hussain, con un decreto che definisce nemico dello stato chiunque attenti alla pace del paese. In sostanza, essa ha introdotto una sorta di principio di «occhio per occhio» che autorizza l’uso della forza pubblica in maniera proporzionata alle violazioni commesse, consentendo alle forze di sicurezza di esercitare un potere di polizia discrezionale e l’uso di metodi di contro-terrorismo non convenzionali. La PPO era convalidata dall’assemblea nazionale il 7 aprile del 2014 ed approvata in via definitiva, sempre dal parlamento, nel luglio successivo, con il nome di Pakistan Protection Act. Questo nonostante la forte opposizione del PTI, del PPP (Pakistan People’s Party), della JI (Jamaat-e-Islami) e dell’MQM (Muttahida Qaumi Movement), che lo definivano incostituzionale ed in aperta violazione dei diritti umani[2].

Il 23 maggio del 2014, pochi giorni prima della visita ufficiale di Sharif a Delhi, in occasione della cerimonia d’insediamento del nuovo premier indiano, il governo pachistano assecondava nuovamente le pressioni dei militari e autorizzava un secondo attacco contro alcuni campi di addestramento dei miliziani nei pressi di Miranshah, capoluogo del Waziristan del nord, nelle FATA.

  1. L’operazione Zarb-e-Azb

L’attacco ad uno dei terminal dell’aeroporto di Karachi, compiuto da un commando dei talibani pachistani il 9 giugno del 2014, nel quale morivano 38 persone, era il prodromo dell’avvio di una operazione militare lanciata alla metà del mese nel Waziristan settentrionale e condotta dall’aviazione e dalle truppe di terra con il sostegno dei droni americani.

Il Waziristan del nord è un distretto delle FATA (i distretti delle aree tribali del Pakistan prendono il nome di agencies) nel quale, dopo l’attacco terroristico a New York dell’11 settembre del 2001, si sono insediati molti dei talibani in fuga dal confinante Afghanistan. Negli anni a seguire, il Waziristan del nord è divenuto la roccaforte di molti gruppi armati, tra i quali il TTP, formatosi nel dicembre del 2007[3]. Dal 2002, le aree di frontiera con l’Afghanistan sono state teatro di diverse operazioni militari pachistane, che si sono succedute con fortune alterne nell’intento di sradicarvi la militanza islamista. Proprio nel 2002, per la prima volta dal raggiungimento dall’indipendenza del Pakistan, l’esercito intervenne nelle FATA lanciando l’operazione Al-Meezan[4], che vide lo spiegamento di truppe nella valle di Tirah, nella Khyber agency, e a Parachinar, nell’agency di Kurram, per contenere l’entrata di talibani in fuga dall’Afghanistan. Due anni dopo, nel marzo del 2004, l’operazione Kalusha fu condotta nel Waziristan meridionale[5]. Nel 2009 fu la volta dell’operazione Rah e Rast, che interessò la valle dello Swat[6]. I governi succedutisi ad Islamabad avevano evitato di intervenire in forze nel Waziristan settentrionale, resistendo alle continue pressioni esercitate dagli americani e dai propri militari, anche a costo di esacerbare le frizioni con gli alleati d’oltreoceano e le forze armate. Il pericolo più grave, infatti, era determinato dal timore che un intervento potesse innescare una rappresaglia da parte del TTP il quale, alla luce degli audaci attacchi degli ultimi anni, aveva dimostrato sorprendenti capacità organizzative[7].

Nell’agosto 2014, però, il governo di Nawaz Sharif doveva piegarsi alle pressioni dell’esercito, alimentate dalle violenze culminate con i gravi avvenimenti di Karachi, e ne autorizzava l’intervento nel Waziristan del nord. Infatti, oltre al tentativo di contenere gli estremismi nel paese, la campagna militare era anche mirata a mettere in sicurezza l’area di confine con l’Afghanistan prima del ritiro delle truppe della NATO (North Atlantic Treaty Organization) entro la fine del 2014[8].

L’operazione, denominata Zarb-e-Azb, per la quale erano dispiegati oltre 30.000 militari, iniziava con i bombardamenti dell’aviazione pachistana, seguiti, dopo circa due settimane dall’inizio dell’offensiva, da interventi di terra concentrati nell’area di Miramshah. Le fonti ufficiali dell’esercito riferivano di una vittoria schiacciante sui miliziani, che, dopo alcune settimane, contavano circa un migliaio di caduti contro le ben più esigue, ma non meglio precisate, perdite tra i militari. Tra i primi caduti, a detta delle poche fonti alle quali era consentito seguire l’intervento, c’era lo stesso comandante uzbeco Abu Abdul Rehman al-Maani, l’ideatore del piano messo in atto la settimana precedente all’aeroporto di Karachi. Tuttavia, la chiusura dell’area alla stampa alimentava i dubbi sul reale impatto della campagna, che, progressivamente, si estendeva anche a zone adiacenti Miramshah e si protraeva per il resto del periodo in esame. In effetti, secondo alcune fonti, i miliziani sarebbero riusciti a lasciare il capoluogo del Waziristan del nord prima dell’inizio dei bombardamenti, confondendosi con i molti sfollati[9].

Effettivamente, il piano dell’operazione sembrava non aver considerato le conseguenze dell’inevitabile crisi umanitaria che sarebbe stata innescata dai combattimenti. Circa 800.000 profughi si spostavano dal Waziristan del nord verso Bannu, principale centro urbano situato nell’omonimo distretto della provincia del Khyber Pakhtunkhwa, dove, però, non trovavano strutture in grado di accoglierli. Le autorità non consentivano il libero movimento agli sfollati, e un ingente numero di questi, circa 70.000, preferiva raggiungere le vicine province afgane dove, a detta loro, ricevevano un’accoglienza migliore che nel proprio paese[10].

Secondo le stime di alcune analisi indipendenti, il numero degli attacchi dei militanti, così come quello delle vittime, si era ridotto di circa il 30% dall’inizio della campagna Zarb-e-Azb[11]. Tuttavia, anche ad operazione militare in corso, il TTP organizzava alcuni assalti di alto profilo, come quelli del settembre 2014 ad una base navale di Karachi e ad un convoglio di paramilitari a Peshawar.

I timori delle ritorsioni dei militanti per la campagna militare nel Waziristan del nord si dimostravano fondati quando, il 16 dicembre del 2014, un commando composto da 9 membri del TTP, con indosso le divise dei paramilitari dei Frontier Corps, si introduceva in una scuola di Peshawar, la Warsak Road, facente parte del sistema di strutture scolastiche gestite dall’esercito pakistano e nella quale studiano centinaia di figli di militari. Il gruppo di fuoco uccideva indiscriminatamente 149 persone, tra le quali 132 studenti di età compresa tra gli 8 ed i 18 anni, e solo l’intervento dei corpi scelti dell’esercito pachistano bloccava il massacro portando in salvo quasi mille persone. Rivendicando la responsabilità dell’efferato attacco, il portavoce del TTP spiegava che si era trattato di una rappresaglia innescata dall’operazione Zarb-e-Azb. Le istituzioni pachistane, la maggioranza dei governi esteri e molte delle organizzazioni internazionali multilaterali esprimevano unanimemente il proprio sdegno per l’accaduto. La società civile pachistana condannava l’evento e chiedeva una presa di posizione decisa contro i militanti da parte del governo. L’orrore suscitato dall’evento risultava nell’abolizione, da parte dell’amministrazione di Sharif, della moratoria sulla pena di morte per i reati di terrorismo, in vigore in Pakistan dal 2008, decisione che, a sua volta, sollevava molte critiche. In seguito al massacro di Peshawar erano intensificati i bombardamenti condotti tanto dagli aerei pachistani, quanto dai droni radiocomandati nelle aree di frontiera con l’Afghanistan, ed erano potenziate anche le operazioni militari di terra in atto nella Khyber Agency e nella valle di Tirah, in una specie di caccia all’uomo. Sharif, che fino a pochi mesi prima era stato un fautore del dialogo con i militanti, adesso prometteva cambiamenti sostanziali nella lotta al terrorismo. Il premier annunciava la formazione di una nuova forza paramilitare specificamente addestrata a contrastare questo genere di crimini. Per snellire i procedimenti giudiziari, Sharif rivelava anche l’intenzione di formare nuove corti militari che si occupassero specificamente dei casi di terrorismo. Infatti, secondo il sistema vigente, e tranne i casi di attacchi alle forze armate, i crimini di natura terroristica sono competenza del sistema giudiziario civile, caratterizzato da tempi lunghi e ritardi[12].

  1. Le accuse a Musharraf

In seguito alle vicissitudini giudiziarie che lo avevano interessato nel 2013, l’ex presidente della Repubblica Islamica del Pakistan, Pervez Musharraf, rischiava la pena capitale o il carcere a vita, per alto tradimento, come sancito dall’articolo 6 della costituzione[13].

Dal momento della citazione in giudizio e dopo la revoca degli arresti domiciliari, l’ex generale aveva addotto motivi di salute e di sicurezza personale che gli avrebbero impedito di partecipare alle udienze, anche se le sue richieste di sottoporsi a cure mediche all’estero non erano accolte dai giudici giacché gli era negato l’espatrio[14].

Alla fine di marzo del 2014, una corte speciale dava lettura dei capi d’imputazione per i reati contestati a Pervez Musharraf in merito alla dichiarazione dello stato di emergenza del 3 novembre del 2007 ed al conseguente sovvertimento delle norme costituzionali.

Le accuse mosse a suo carico erano fondate, oltre che sulle norme del citato articolo 6 della costituzione, sull’High Treason (Punishment) Act del 1973. A Musharraf era contestato di aver emanato, sempre il 3 novembre del 2007, il Provisional Constitution Order No.1 in qualità di comandante in capo delle forze armate. Questa normativa aveva conferito al presidente della Repubblica Islamica del Pakistan l’autorità di emendare la costituzione e di sospendere i diritti fondamentali[15]. Lo stesso giorno, Musharraf aveva emesso l’Oath of Office (Judges) Order, 2007, che obbligava i magistrati a prestare giuramento di fedeltà alle disposizioni del Proclamation of Emergency Act e all’ordine costituzionale provvisorio in forza da quel momento. In seguito, il 20 novembre successivo, l’allora presidente del Pakistan aveva emesso il Constitution (Amendment) Order, 2007, seguito dal Constitution (Second Amendment) Order 6, 2007, anch’esso considerato illegale in quanto attribuiva alla corte suprema la possibilità di disporre il trasferimento di sede dei casi giudiziari, modificava le prerogative giurisdizionali dell’alta corte e riaffermava, convalidandola, la validità delle nuove disposizioni costituzionali. La corte specificava anche che si trattava di atti criminali riconducibili al solo presidente, giacché non erano stati convalidati dal parlamento.

Al dicembre del 2014, il processo a Pervez Musharraf non si era ancora concluso.

  1. Gli attriti tra governo e militari

La formalizzazione delle accuse a carico di Pervez Musharraf era forse l’esempio più tangibile delle tensioni esistenti tra il potere esecutivo ed i militari. Questi hanno governato il Pakistan per oltre la metà della storia del paese e, quando non al governo, hanno svolto un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche delle amministrazioni elette. Negli ultimi anni gli equilibri sono mutati e, dal 2007, altre istituzioni – la magistratura, il governo, il parlamento – e, in misura inferiore, la società civile, in particolare la stampa, hanno progressivamente fatto valere la propria indipendenza sulle questioni di dominio pubblico[16]. Le forze armate, preoccupate che il processo all’ex generale rappresentasse un precedente in grado di affermare la supremazia della magistratura e del governo sullo stato maggiore militare, tentavano di assicurare a Musharraf – senza riuscirci – la possibilità di rifugiarsi all’estero[17].

Anche i negoziati in atto con i militanti del TTP erano un motivo di attrito tra i militari ed il governo, giacché i generali si lamentavano dell’arbitrarietà delle decisioni prese dall’amministrazione di Sharif[18]. Persino la visita di Nawaz Sharif a Delhi nel maggio del 2014, in occasione del giuramento del nuovo premier indiano Narendra Modi, era percepita dai media come una decisione audace del primo ministro pachistano e antitetica al volere dei militari.

Nel periodo in esame, i media in Pakistan subivano pesanti intimidazioni. In particolare, tre giornalisti dell’«Express Tribune» erano uccisi nel gennaio del 2014 dai militanti e, nell’aprile successivo, Hamid Mir, un noto giornalista e conduttore di Geo News, un canale televisivo di proprietà del gruppo Jang che trasmette un popolare notiziario, era ferito in un attentato a Karachi, dopo averne scampato un altro l’anno precedente.

Nell’ultimo decennio, Geo TV ha dominato l’informazione televisiva, proponendo programmi di approfondimento giornalistico che, in taluni casi, hanno provocato reazioni dell’establishment militare. Questo è avvenuto, per esempio, in occasione di servizi che denunciavano l’inefficienza delle forze armate nel caso della cattura di Osama bin Laden, o l’interferenza dell’ISI (Inter Service Intelligence, il più potente dei servizi segreti militari) negli affari politici della nazione[19]. «Geo News» era già stata oscurata tra il 2007 ed il 2008, all’indomani della proclamazione dello stato di emergenza da parte di Musharraf[20]. Trasferitasi a Dubai, aveva subìto la stessa sorte anche negli Emirati Arabi Uniti, su richiesta del governo pachistano. Spostatasi su diverse frequenze satellitari, era stata nuovamente oscurata nel 2009 dopo che si era apertamente schierata a favore della protesta degli avvocati contro il governo[21].

Recentemente, Hamid Mir si era occupato dei desaparecidos del Belucistan e delle torture inflitte loro, così come ai loro sostenitori – secondo il giornalista – dai membri dell’ISI. Inoltre, Mir aveva anche criticato la solidarietà che l’establishment militare aveva dimostrato a Pervez Musharraf in occasione delle sue vicissitudini giudiziarie.

In seguito alle accuse mosse da Hamid Mir contro l’ISI, i militari chiedevano alla PEMRA (Pakistan Electronic Media Regulatory Authority), l’autorità preposta al controllo delle telecomunicazioni, di oscurare l’emittente televisiva. A «Geo TV» era dunque sospesa la licenza per 15 giorni ed imposta una multa di 10 milioni di rupie (quasi 100.000 dollari) in seguito ad un reclamo formale del ministero della Difesa.

Il Committee to Protect Journalists, un’organizzazione indipendente no-profit fondata nel 1981 che promuove la libertà di stampa a livello globale, accusava l’establishment militare di condurre una campagna contro l’emittente televisiva, accusata dai generali di perseguire un’agenda contraria agli interessi del paese[22].

Amnesty International esprimeva la propria preoccupazione in merito ai fatti e a proposito della concreta possibilità che l’ISI fosse impegnato in una campagna d’intimidazione ai danni dei media. Sulla scia del caso di Mir, la stampa dava spazio a decine di altre storie analoghe di rapimenti e uccisioni, fra cui il caso di Saleem Shahzad, redattore capo della filiale pachistana dell’«Asia Times Online», ucciso nel maggio del 2011, e quello dei presunti abusi commessi dalle forze di sicurezza ai danni dei separatisti del Belucistan[23].

Il breve tentativo di oscurare Geo Tv si scontrava con la dichiarazione d’illegalità del provvedimento da parte della PEMRA, avvallata dal governo di Sharif. Tuttavia, il gruppo Jang querelava per diffamazione l’ISI e chiedeva un risarcimento di 500 milioni di dollari ai servizi segreti, al ministero della Difesa ed alla stessa PEMRA[24].

La visita di Nawaz Sharif al giornalista ferito e le voci che il governo prestava fede alle accuse che questi aveva mosso contro l’ISI spostavano l’attenzione, e con essa le frizioni, ai rapporti tra l’amministrazione civile del Pakistan ed i militari, già polarizzati dal processo contro Musharraf. Le ripercussioni politiche non si facevano attendere. Imran Khan, leader del PTI (Pakistan Tehreek-e-Insaf), prendeva le difese dei militari e accusava Geo TV di aver favorito la vittoria elettorale di Sharif nel 2013[25]. Hafiz Saeed, il leader del gruppo Lashkar-e-Taiba, riprendeva le dichiarazioni di Khan, così come facevano alcuni leader di movimenti confessionali, i quali accusavano il canale di blasfemia.

  1. L’opposizione a Nawaz Sharif

La schiacciante maggioranza che Nawaz Sharif aveva ottenuto alle elezioni del 2013 aveva prodotto ottimismo e creato aspettative circa la possibilità di risollevare il paese, in modo particolare la sua disastrata economia e la situazione della sicurezza interna[26]. Tuttavia, da allora, il governo Sharif aveva dovuto far fronte alla vivace opposizione tanto del PTI di Imran Khan, quanto di quella di Tahir-ul-Qadri, un pachistano naturalizzato canadese e fondatore, nel 1989, del movimento politico PAT (Pakistan Awami Tehrik).

In occasione delle celebrazioni per l’indipendenza del Pakistan, il 14 agosto del 2014, Imran Khan organizzava una marcia pubblica (l’azadi march o «marcia delle libertà») da Lahore a Islamabad per protestare contro le presunte frodi avvenute alle elezioni del maggio del 2013, con l’obiettivo di rovesciare il governo di Sharif e di rendere inevitabili nuove elezioni.

Qadri, con il sostegno di numerosi attivisti del PAT e della sua organizzazione non governativa d’ispirazione religiosa, la Minhaj-ul-Quran, fondata nel 1981 a Lahore, auspicava una rivoluzione in grado di sradicare la corruzione dal sistema democratico nazionale e l’instaurazione di un nuovo governo. Come già avvenuto nel gennaio del 2013, nel giugno del 2014 Qadri tornava in Pakistan per organizzare, come Imran Khan, una marcia su Islamabad, che si svolgeva il 14 agosto 2014[27]. Il suo rientro dal Canada era caratterizzato da un evidente nervosismo del governo, il quale ne dirottava il volo a Lahore per evitare che il leader del PAT incontrasse i suoi sostenitori ad Islamabad.

Secondo la maggioranza dei commentatori, Khan e Qadri avevano ben poche possibilità di riuscire nei propri intenti, né le irregolarità della tornata elettorale del 2013, così come accertate dagli osservatori, giustificavano le accuse mosse ai danni di Sharif. Tuttavia, tanto la data scelta per le manifestazioni, che coincideva con le celebrazioni della ricorrenza dell’indipendenza del paese, quanto la loro concomitanza con l’operazione Zarb-i-Azb, che, come ricordato, era accompagnata da un alto numero di sfollati, costituivano un elemento di preoccupazione per il governo[28]. Come previsto dall’articolo 245 della costituzione della Repubblica Islamica del Pakistan, che regola le funzioni delle forze armate, era dunque deciso di dispiegare l’esercito a protezione di Islamabad e, in forza dell’articolo 144 del codice di procedura penale, erano anche vietati gli assembramenti nella capitale[29].

Prima delle marce erano arrestati oltre 30 sostenitori del PAT, ed era anche spiccato un mandato di arresto ai danni dello stesso Tahir ul-Qadri in seguito alla morte di un poliziotto avvenuta durante gli scontri che si erano verificati in occasione di una protesta organizzata dal suo raggruppamento politico. Una sorte analoga era riservata anche a molti attivisti del PTI[30].

Le due marce si svolgevano in maniera pacifica nel tragitto tra Lahore ed Islamabad e, anche quando i dimostranti, raggiunta la capitale, varcavano le recinzioni della «zona rossa», delineata a protezione degli edifici istituzionali, non si registravano interventi degni di nota da parte delle forze dell’ordine. Tuttavia, le manifestazioni non radunavano le folle che i due leader avevano inizialmente auspicato. Infatti, secondo alcune stime, i partecipanti erano circa 50.000, con una predominanza dei sostenitori di Qadri, e non le centinaia di migliaia inizialmente annunciate[31]. A parte questo, le iniziative di Khan e Qadri, seppur facendo presa su una parte della popolazione pachistana, stanca degli insuccessi del governo di Sharif, non riuscivano ad avere l’appoggio dell’intellighenzia nazionale. Quest’ultima, infatti, percepiva le marce come mere mosse politiche, fatte in assenza di programmi ben definiti, anziché come un tentativo di apportare miglioramenti degni di nota al sistema democratico vigente nel paese.

Qadri rivelava il suo programma, consistente in un’agenda di 10 punti, che reclamava le dimissioni e l’arresto del premier, del fratello Shahbaz Sharif, governatore del Punjab, e dei ministri del governo; chiedeva anche lo scioglimento del parlamento e delle assemblee provinciali, la formazione di un gabinetto composto da non meglio identificati tecnocrati, nominati e non eletti, che avrebbe dovuto adottare una serie di riforme economiche[32].

Il PTI invocava una campagna di disobbedienza civile e di resistenza fiscale ed intimava a Sharif di dimettersi, minacciando di ritirare i propri 34 parlamentari,in modo da mettere a repentaglio il normale prosieguo del processo democratico del paese.

Il 30 agosto 2014, dopo che Khan e Qadri avevano annunciato, con fermezza, che le proteste sarebbero continuate indeterminatamente, finché Sharif non si fosse dimesso, s’innescava una guerriglia urbana tra polizia e dimostranti, che, in occasione del tentativo di avvicinarsi alla residenza del premier a Islamabad, produceva vittime e centinaia di feriti.

La reazione dell’esercito non si faceva attendere. Il capo delle forze armate, il generale Rasheel Sharif, che pochi giorni prima dei disordini aveva auspicato una soluzione politica alla crisi, tentava una mediazione tra le parti e, con un comunicato, i militari si dichiaravano «pronti a svolgere la propria parte per garantire la sicurezza dello stato». Questa era una formulazione che, data la storia del Pakistan, diffondeva il timore di un imminente colpo di stato[33]. Tuttavia, ben presto l’esercito prendeva le distanze dalle vicissitudini politiche, né interveniva per interrompere le proteste. I militari coglievano così l’opportunità, offerta dalle marce, di mettere in risalto la vulnerabilità del governo di Sharif. Il premier, infatti, doveva riconoscere il ruolo svolto dall’esercito in difesa delle istituzioni democratiche e della stabilità del paese, alludendo implicitamente alla propria incapacità di ottenere lo stesso risultato, e confermava, sempre indirettamente, l’influenza dell’establishment militare sull’amministrazione civile.

Nell’ottobre del 2014 le manifestazioni si estendevano anche a Lahore e Karachi e, progressivamente, perdevano intensità seppur mantenendo presidi in zone vitali della protesta.

  1. Relazioni tra Pakistan e India

Nawaz Sharif accettava l’invito di Narendra Modi e partecipava alla cerimonia d’insediamento del neoeletto premier indiano organizzata il 26 Maggio del 2014 a Delhi. I brevi colloqui bilaterali che ne seguivano si limitavano ad espressioni di intenti in materia di sicurezza e di scambi commerciali e preannunciavano successivi incontri di natura tecnica. La visita di Sharif in India era la prima di un leader pachistano dagli attacchi terroristici di Mumbai del 2008 ed era percepita dalla stampa nazionale come un tentativo di ammorbidire le relazioni diplomatiche dei due paesi[34].

L’incontro tra i due premier, seppur benaugurante, non era seguito da una fattuale distensione dei rapporti bilaterali. Al contrario, nel periodo in esame si registravano violazioni del «cessate il fuoco» lungo la LoC (Linea di Controllo: il confine di fatto tra i due paesi), che si intensificavano nell’ottobre del 2014.

Contrariamente a quanto deciso in occasione della visita di Sharif in India, alla metà di agosto del 2014 il governo di Delhi sospendeva i dialoghi previsti con la controparte pachistana a causa dell’incontro formale avvenuto tra l’ambasciatore del Pakistan, Abdul Basit, ed una delegazione dei leader separatisti del Kashmir composta dal Mirwaiz Umar Farooq, da Syed Ali Shah Geelani, da Yasin Malik e da Shabir Shah. Sebbene la questione del Kashmir non fosse all’ordine del giorno nei dialoghi tra India e Pakistan, non si trattava di un incontro inusuale ma, al contrario, di consultazioni fino a quel momento tollerate dai governi di Delhi[35].

  1. Economia

Il 21 giugno del 2014, la camera bassa del parlamento pachistano approvava la legge finanziaria per l’anno fiscale luglio 2014 – giugno 2015.

Come quello dell’anno precedente, anche il nuovo bilancio mirava a stabilizzare l’economia nazionale, così come richiesto dalle condizioni imposte dall’FMI (Fondo Monetario Internazionale) all’esborso del prestito di oltre sei miliardi e mezzo di dollari concordato nel settembre del 2013[36]. Il nuovo schema finanziario si sovrapponeva a quello del 2008 per il quale, nel 2013, il Pakistan aveva già restituito 3,4 miliardi di dollari e ne avrebbe dovuto restituire altri due nel 2014-2015[37].

Come i precedenti bilanci, anche quello del 2014 allocava un’alta percentuale delle risorse disponibili, il 33%, al risarcimento dei debiti[38]. Gli stanziamenti per la difesa aumentavano di oltre l’11% rispetto all’anno precedente (6,8 miliardi di dollari), cifra che portava l’ammontare delle spese militari a circa il 20% del totale e a quasi il 3,5% del prodotto interno lordo.

Tra i tagli alla spesa introdotti dalla legge fiscale, quelli concernenti i sussidi al settore energetico e agricolo erano degni di nota perché, a causa della loro esiguità, dimostravano la difficoltà di apportare riduzioni significative all’intervento statale in settori chiave dell’economia del paese.

La scarsità energetica costituiva un problema concreto per Sharif, la cui promessa di soluzione era stata uno dei cavalli di battaglia della sua campagna elettorale nel 2013; ma l’incapacità di mantenere l’impegno preso era, adesso, sotto gli occhi di tutti. La costruzione di nuovi impianti di produzione energetica, inclusa quella solare, non sopperiva alla mancanza di un sistema razionalizzato dei costi al consumo dell’energia elettrica. Infatti, era noto che il suo prezzo, troppo basso, non bilanciava quelli di produzione e che questo era uno dei motivi principali dell’assenza di profitto settoriale e delle continue interruzioni dell’erogazione del servizio. Sharif decideva di non aumentare le tariffe, ignorando i consigli della NEPRA (National Electric Power Regulatory Authority, l’ente preposto alla regolamentazione dell’energia elettrica). L’assenza di progressi concreti nel settore energetico metteva a rischio il prestito dell’FMI: infatti, l’incremento delle tariffe e la diminuzione dei sussidi statali erano condizioni poste all’esborso delle varie tranchesdell’EFF (Extended Fund Facility), accordato nel settembre del 2013.

In 2014, tensions mounted between the government of Nawaz Sharif and the military establishment across multiple issues.

Pervez Musharraf, former general and president of the Islamic Republic of Pakistan, arrested in 2013 and facing charges of high treason, was indicted in the period under review. The army came to Musharraf’s rescue by trying to persuade the civil government to allow his exile out of Pakistan for health-related reasons. Yet, the government and the judges firmly resisted the pressure by the army.

Another element of tension between the government and the army was the former’s decision to try to negotiate with the Islamist militants of the Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP). Ceasefire initiatives were repeatedly sought by the civilian administration but violence failed to be halted. The army was determined – and ultimately succeeded in obtaining the green light from the government – to launch a major military operation against the militant’ hideouts in North Waziristan, a bordering area with Afghanistan, needing to be secured before NATO combat troops left the neighbouring country.

The assassination attempt in Karachi on Mr Hamid Mir, Pakistan’s leading television talk-show host, opened another field of confrontation between the military establishment and the civilian government. Mir’s accusations that the main military intelligence service, the ISI, was responsible for the attack triggered a national debate about the army’s attempts to suffocate dissenting voices. Once Prime Minister Sharif allegedly backed Mr Mir, the media-army tension turned rapidly into tension between the government and the army.

Also the in-country political tensions between the government and the opposition parties, in particular the Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) and the Pakistan Awami Tehrik (PTA) – plus the popular demonstrations organized by both the PTI and PTA against Sharif’s administration, turned into an opportunity for the armed forces to stress the Prime Minister’s difficulty in asserting his authority.

Tensions mounted between Pakistan and India. Exchanges of fire along the Line of Control, the de facto heavily guarded frontier between Pakistan and India, left more than 20 people dead, in the most serious violation since the 2003 cease-fire agreement.

 

[1] Marco Corsi, Pakistan: il nuovo governo di Nawaz Sharif, ‘Asia Maior 2013’p. 93.

[2] Opposition parties to challenge Pakistan Protection Ordinance in top court, ‘Pakistan Tribune’, 8 aprile 2014.

[3] Marco Corsi, Pakistan: transizione democratica e crisi, ‘Asia Maior 2008’, pp. 73-74; Marco Corsi, Pakistan: controterrorismo e destabilizzazione, ‘Asia Maior 2009’, pp. 69-70.

[4] Abbas Hassan, The Taliban Revival Future of Pakistan, Yale University Press, New Haven and London 2014, p. 41; Marco Corsi, Pakistan: il processo di islamizzazione e le sue conseguenze, ‘Asia Major 2003’, p. 76; Marco Corsi, Pakistan: tra militanza e terrorismo, ‘Asia Maior 2006’, p. 130.

[5] Corsi, Pakistan: il processo di islamizzazione…cit., pp. 57-61.

[6] Corsi, Pakistan: controterrorismo…cit., pp. 66-70.

[7] Marco Corsi, Pakistan: democrazia a ‘colpi di stato’ e il tragico epilogo del 2007, in Asia Maior 2007’, pp. 20-22.
Corsi, Pakistan: transizione democraticacit., pp. 78-79;
Corsi, Pakistan: controterrorismo…cit., pp. 73-75.

[8] Pakistan bombs militant targets in North Waziristan, ‘The Guardian’, 15 giugno 2014; Ibid.Pakistan begins long-awaited offensive to root out militants from border region.

[9] Pakistan Claims Win Against Militants Along Afghan Border, but Enemy Slips Away, ‘The New York Times’, 11 luglio 2014; Ibid., Pakistanis Detail Gains Against Militants.

[10] Pakistan ‘unprepared’ for refugees fleeing operation against Taliban, ‘The Guardian’, 26 giugno 2014.

[11] Pakistan’s militants: Taliban tumult, ‘The Economist’, 25 ottobre 2014.

[12] After school massacre, Pakistan moves to set up military courts for terrorism cases, ‘The Washington Post’, 24 dicembre 2014.

[13] Corsi, Pakistan: il nuovo governocit., pp. 87-88.

[14] Ibid.

[15] Si fa riferimento, in particolare, agli articoli della costituzione 9, 10, 15, 16, 17, 19 e 25 che prevedono la salvaguardia della persona, la protezione da arresto e detenzione, il diritto ad un processo equo, la libertà di movimento, di parola ecc.). Costituzione del Pakistan (http://www.pakistani.org/pakistan/constitution/part2.ch1.html).

[16] Marco Corsi, Pakistan: transizione e nuovi equilibri, ‘Asia Maior 2012’, pp. 131-133.

[17] PM under pressure to allow safe passage for Musharraf: PML-N leader, ‘The Pakistan Tribune’, 10 agosto 2014.

[18] Govt. striving to regain army’s trust, ‘The Pakistan Tribune’, 27 aprile 2014.

[19] Marco Corsi, Pakistan: tensioni con gli USA e instabilità politica a dieci anni dall’11 settembre,‘Asia Maior 2011’, pp.105-117; Corsi, Pakistan: il nuovo governo…cit. pp. 107-108.

[20] Corsi, Pakistan: democrazia a ‘colpi di stato’…cit., pp. 92-96.

[21] Ibid., pp. 81-84.

[22] Attack on Journalist Starts Battle in Pakistani Press, ‘The New York Times’, 26 aprile 2014.

[23] CorsiPakistan: tensioni con gli USA…cit., pp. 111; Pakistan’s spy agency ISI accused of kidnapping and killing journalists, ‘The Guardian’, 30 aprile 2014.

[24] Economist Intelligence Unit 2014, Country Report luglio, p. 3.

[25] Corsi, Pakistan: il nuovo governocit., pp. 83-93.

[26] Ibid.

[27] Ibid., p. 83-84.

[28] Gearing up: PTI starts registering people for Azadi March, ‘Pakistan Tribune’, 3 agosto 2014.

[29] Article 245: No shame in calling in the Army, Nisar tells NA, ‘Dawn’, 5 agosto 2014.

[30] Pakistan arrests activists ahead of planned political protests’, ‘Reuters’, 7 agosto 2014.

[31] Imran Khan warns Pakistan ministers his supporters could storm parliament, ‘The Guardian’, 17 agosto 2014.

[32] Qadri demands resignation, arrest of Nawaz, Shahbaz; dissolution of assemblies, ‘The Pakistan Tribune’, 17 agosto 2014.

[33] Protest March Bears Down on the Leader of Pakistan, ‘The New York Times’, 14 agosto 2014; Pakistan army chief wants negotiated end to rally, ‘Washington Post’, 20 agosto 2014; Pakistan’s army instructs prime minister Sharif to act without violence, ‘The Guardian’, 31 agosto 2014.

[34] Signs of diplomacy as Indian leader is Sworn in, ‘The New York Times’, 28 maggio 2014.

[35] India calls off Pakistan talks after envoy invites Kashmiri separatist to tea, in ‘The Guardian’, 18 agosto 2014; Prime Minister Modi Fumbles on Pakistan, ‘The New York Times’, 20 agosto 2014.

[36] Corsi, Pakistan: il nuovo governo cit., pp. 93-95.

[37] The Economist Intelligence Unit 2014, Country Report luglio, p. 5.

[38] Pakistan’s optimistic budget, ‘The Economist’, 26 giugno 2014.

 

Giorgio Borsa

The Founder of Asia Maior

Università di Pavia

The "Cesare Bonacossa" Centre for the Study of Extra-European Peoples

THE RISE OF ASIA 2021 – CALL FOR PAPERS