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Sri Lanka 2010: l’anno del presidente

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1. Premessa

Il 2010 si è caratterizzato, nello Sri Lanka, per due aspetti principali: il protagonismo del presidente Mahinda Rajapaksa, il cui operato ha dominato la scena politica del paese, e la questione dei crimini di guerra.

Al termine del 2009, il presidente Rajapaksa aveva manifestato l’intenzione di indire elezioni presidenziali con un anticipo di quasi due anni rispetto alla scadenza naturale del suo mandato. Questa intenzione è stata effettivamente attuata con le elezioni del 26 gennaio 2010, le quali si sono svolte in un clima di acerrima contrapposizione (preannunciata anch’essa alla fine del 2009) tra il presidente e il generale Sarath Fonseka, l’autore della distruzione delle LTTE (Liberation Tigers of Tamil Eelam). La candidatura di quest’ultimo, sempre alla fine del 2009, appariva solo come un’ipotesi probabile, che però nel giro di un paio di mesi si è trasformata in un fatto reale. Una volta sconfitto ed eliminato politicamente il proprio rivale, Rajapksa ha anteposto il rafforzamento dei già forti poteri presidenziali a problemi pressanti, come la ricostruzione del Nord-est del paese, l’accertamento e la punizione di gravi violazioni dei diritti umani e dei crimini di guerra, attuati sia dall’esercito che dalle LTTE.

A un anno e mezzo dalla fine della guerra, non solo sono stati avviati significativi piani di sviluppo nella parte nord-orientale del paese, ma non si è neppure compiuto alcun passo concreto per raggiungere la devoluzione di poteri significativi ai consigli provinciali del Nord-est, così come previsto dal 13° emendamento della costituzione.

Restano ancora interdette agli osservatori internazionali e agli operatori umanitari le aree interessate dalle fasi conclusive delle ostilità.

La fine della guerra non ha arrestato l’involuzione autoritaria della politica dello Sri Lanka, già paventata nel volume del 2008 [AM 2008, pp. 149-152]. Per tutto il 2010 sono continuati gli assalti e le intimidazioni nei confronti di giornalisti e di operatori umanitari, mentre la censura ha continuato a limitare molto la libertà dell’informazione. Rispetto alle vicende più rilevanti, come l’arresto del generale Fonseka, avvenuto all’inizio di febbraio 2010, la copertura da parte della stampa locale è stata assolutamente insufficiente (tanto che per scrivere questo saggio si è dovuto far ricorso alla pubblicistica estera o a materiale pubblicato dalle organizzazioni per i diritti umani). Alcune delle vicende descritte nella pagine che seguono si sono verificate nel 2009, soprattutto nelle fasi conclusive della guerra e in quelle immediatamente successive, ma hanno cominciato ad emergere solo nel 2010, dando luogo a numerosi interrogativi e riflessioni.

2. Il presidente e il generale: la fine di un idillio

Il volume dello scorso anno si concludeva con la notizia della probabile entrata in politica del generale Sarath Fonseka, l’artefice della vittoria dell’esercito di Colombo sulle Tigri tamil, e della probabile intenzione del presidente Mahinda Rajapaksa di indire elezioni presidenziali anticipate [AM 2009, p. 161]. Alla fine del 2009, Rajapaksa ha effettivamente indetto nuove elezioni presidenziali, in anticipo di circa due anni sul termine del mandato. A questo punto, il generale Fonseka ha raccolto l’invito dell’ex primo ministro Ranil Wickremasinghe e, il 29 novembre 2009, ha annunciato che avrebbe sfidato Rajapaksa alle elezioni, come candidato alla presidenza dell’opposizione [ICG 11 gennaio 2010, «Sri Lanka: A Bitter Peace», p. 16]. La decisione è seguita di pochi giorni alle dimissioni di Fonseka dalla carica di generale, annunciate il 12 novembre e motivate in una lettera aperta il giorno successivo. Nel documento, Fonseka rivelava che a metà dell’ottobre 2009 le forze armate indiane, su richiesta di Rajapaksa, si sarebbero poste in massima allerta per il sospetto di un colpo di stato contro il presidente dello Sri Lanka da parte di alcuni esponenti dell’esercito. Secondo Fonseka, la richiesta di Rajapaksa sarebbe giunta allo stato maggiore indiano attraverso l’alto commissariato dell’India a Colombo. Nella lettera, Fonseka esprimeva tutto il suo rammarico per il fatto che lo stesso esercito che aveva portato la nazione alla vittoria potesse essere macchiato dal sospetto di cospirare contro i vertici del paese e che si fosse arrivati al punto da allertare il governo indiano [W/F 13-26 febbraio 2010, «The landslide»]. La rivalità tra il presidente uscente e l’ex generale è andata molto oltre: in un’intervista alla stampa rilasciata il 13 dicembre 2009, Sarath Fonseka accusava il segretario alla Difesa e fratello del presidente, Gotabhaya Rajapksa, di avere ordinato, a sua insaputa, l’esecuzione dei leader delle LTTE e di 60 loro congiunti, che si stavano arrendendo, sventolando bandiere bianche [AM 2009, p. 155], così come stabilito in accordi presi precedentemente con il governo di Colombo. Il presidente Rajapaksa ha risposto negando i fatti e accusando Fonseka di tradire la nazione e di distruggere l’immagine dell’esercito, per un mero tornaconto elettorale. Lo stesso Fonseka, il giorno successivo cambiava versione, sostenendo di avere ordinato lui stesso l’esecuzione dei militanti tamil. Questa versione sarebbe confermata dalla testimonianza di alcuni esponenti del governo di Colombo, secondo i quali, in un discorso alle forze armate, il generale Fonseka avrebbe dichiarato con orgoglio di avere ordinato lui stesso l’esecuzione dei militanti che si stavano arrendendo, sostenendo di avere agito come un vero militare. Nello stesso discorso, il generale avrebbe affermato che la visione delle distruzioni recate dalle Tigri sarebbero bastate a fornire ai militari le ragioni per non risparmiare i militanti tamil. Sempre secondo il generale, certe decisioni erano di competenza dei militari e non dei politici, che, secondo la colorita descrizione di Fonseka, sedevano in stanze climatizzate nella capitale. Il generale avrebbe concluso con la frase «Abbiamo distrutto chiunque fosse collegato alle LTTE. Questo è il modo in cui abbiamo vinto la guerra» [W/ICG 11 gennaio 2010, «Sri Lanka: A Bitter Peace» pp. 20-21, e W/F 19-26 gennaio 2010, «Countdown begins»]. L’unica spiegazione che si può dare a questo voltafaccia è che, ammettendo pubblicamente di essersi assunto la responsabilità di annientare le Tigri tamil senza alcuna pietà, l’ex generale pensava di ottenere le simpatie dell’elettorato singalese.

La rottura tra il presidente Rajapaksa e il generale Fonseka, schierati l’uno contro l’altro alle elezioni presidenziali, appare tanto più contraddittoria, se si pensa che fino a pochi mesi prima che si profilasse questo scontro, il generale, il presidente e il fratello di quest’ultimo, nonché segretario alla Difesa, apparivano come una sorta di triumvirato. Il presidente, in qualità di comandante supremo delle forze armate, ha contribuito in modo determinante a cementare l’immagine di Fonseka come il vero protagonista della campagna militare denominata Eelam War IV, durata 34 mesi e decisiva per la vittoria dell’esercito sulle LTTE. Il presidente e i suoi collaboratori avevano difeso le azioni, spesso discutibili, del generale, il cui operato era noto e spesso coperto dal segretario alla difesa Gotabhaya Rajapaksa. L’impressione diffusa era che l’esercito fosse invincibile, sotto il comando di Fonseka, e che questi potesse agire nella massima discrezionalità [W/F 19-26 gennaio 2010, «Countdown be- gins»]. La frattura tra i due va ricondotta al 15 luglio 2009, quando Fonseka è stato rimosso dall’incarico di capo dell’esercito. Dopo avere garantito la vittoria militare del governo di Colombo e avere eliminato Velupillai Prabakaran, il capo supremo delle LTTE, il generale cominciava ad essere visto come un personaggio tanto potente da rischiare di diventare pericoloso per il governo e per il presidente. Il timore che i militari potessero rivoltarsi deve avere indotto il presidente prima a destituire il generale, poi ad alimentare i sospetti di un colpo di stato militare, per giustificare un simile gesto.

Sul piano politico, la carta vincente per entrambi i candidati era rappresentata dall’esito vittorioso della guerra, rispetto al quale sia il presidente che il generale potevano vantare i rispettivi meriti, poli- tici l’uno, militari l’altro.

3. Le elezioni presidenziali del 26 gennaio 2010

Colpisce il fatto che nello Sri Lanka sia possibile indire elezioni anticipate in presenza di un governo ancora in carica. Lo prevede la costituzione. Si tratta di una delle tante anomalie della politica di questo paese, dell’ennesimo dispositivo per fornire garanzie al già potente presidente esecutivo.

Il dispositivo delle elezioni anticipate in presenza di un governo in carica è evidentemente concepito per consentire al presidente di indire le elezioni nel momento a lui più favorevole, e non solo alla scadenza naturale del mandato o in presenza di una crisi di governo. Grazie a questo dispositivo, il presidente Rajapaksa ha potuto indire le elezioni nel momento a lui più favorevole, ovvero quando la sua popolarità era alle stelle, grazie alla fine della guerra e alla sconfitta delle LTTE.

Le elezioni presidenziali all’inizio del 2010 consentivano inoltre a Rajapaksa di non lasciare che fossero le elezioni parlamentari, previste per l’8 aprile 2010, a decidere il corso degli eventi futuri [W/F 19-26 gennaio 2010, «Countdown begins»], con esiti che, a distanza di tempo dall’euforia della vittoria, avrebbero rischiato di essere assai più incerti, sia per il voto parlamentare che per quello presidenziale.

All’indomani della vittoria di Rajapaksa nelle elezioni presidenziali, la corte suprema dello Sri Lanka ha stabilito che il presidente rieletto non poteva dare il via al suo secondo mandato prima del 19 novembre 2010 [W/F 13-26 febbraio 2010, «Constitutional incon- gruity»]. Questa dilazione ha tuttavia ulteriormente favorito Rajapaksa: il presidente, infatti, ha visto allungarsi di un anno il suo secondo mandato, che avrebbe dovuto avere inizio e terminare dieci mesi prima rispetto a quanto sia avvenuto in questo modo.

Sarath Fonseka, asso nella manica di un’opposizione divisa, che si contrapponeva alla maggioranza su ognuna delle principali questioni dibattute nel paese, ha avuto la capacità di riunire intorno allo stesso programma politico due rivali storici, lo UNP (United National Party) e il JVP (Janatha Vimukthi Peramuna, Fronte di Liberazione Popolare). Lo UNP è stato il fautore del cessate il fuoco del 2002 e la sua linea politica rispetto alla soluzione del problema tamil era orientata verso una possibile opzione federalista. Il JVP è invece un partito ultranazionalista, contrario ad ogni compromesso con le LTTE. Il JVP aveva rappresentato uno dei principali alleati di Rajapaksa alle elezioni presidenziali del 2005. A partire dal 2007, però, il JVP aveva cominciato a distanziarsi dallo SLFP (Sri Lanka Freedom Party), il partito del presidente. In quel periodo il JVP era uscito dall’APRC (All-Party Representation Committee), per divergenza di vedute con gli altri componenti del comitato rispetto al riconoscimento di un certo grado di autonomia ai governi provinciali [AM 2008, pp. 151-152]. Alle elezioni del 2010, il JVP ha appoggiato dall’esterno la coalizione dell’opposizione, lo United National Front.

Un candidato come l’ex generale Fonseka, responsabile dell’annientamento militare delle LTTE, comportava però il rischio, per la coalizione che questi guidava, di non avere il sostegno della componente tamil. L’opposizione ha giocato allora una carta decisiva per ottenere l’appoggio del principale partito tamil, la TNA (Tamil National Alliance). Il 4 gennaio 2010 Sarath Fonseka ha sottoscritto con la TNA un accordo in dieci punti in cui si impegnava a mettere in atto una serie di misure volte alla riabilitazione delle persone e delle aree afflitte dalla guerra. Secondo l’accordo, Fonseka garantiva che avrebbe: (a) accelerato il ritorno degli sfollati e la ricostruzione delle infrastrutture danneggiate dal conflitto; (b) revocato lo stato d’emergenza; (c) rilasciato la maggior parte di quanti erano stati arrestati secondo le norme antiterrorismo; (d) disarmato le formazioni paramilitari tamil filo-governative; (e) smantellato le zone di sicurezza (high security zones); (f) ridotto il ruolo dei militari nell’amministrazione delle province settentrionali e orientali; e, (g) adottato misure per impedire l’acquisizione illegale di terre e proprietà nelle medesime aree [W/ICG 11 gennaio 2010, «Sri Lanka: A Bitter Peace» p. 6]. La decisione della TNA di sostenere la candidatura di Fonseka riflette il forte desiderio, da parte dei leader e della comunità tamil, di non ripetere l’errore commesso nel 2005, quando, dietro le pressioni delle LTTE, la gran parte dei tamil del nord-est avevano boicottato le elezioni, favorendo la vittoria elettorale di Rajapaksa [ibidem, p. 17]. Ciò che è mancato, sia nell’accordo in dieci punti che nel programma elettorale di Fonseka e della sua coalizione, è stato il riferimento alla devolution o alla condivisione dei poteri tra le due componenti, singalese e tamil. Entrambi questi temi sono fortemente invisi al JVP, il cui sostegno era, alla vigilia delle elezioni presidenziali, essenziale per lo United National Front, così come lo era quello della componente tamil. Gli accordi preelettorali appaiono, quindi, come un tentativo di accontentare sia l’elettorato tamil, sia quello singalese.

D’altra parte, neppure la maggioranza ha mai ostentato entusiasmo per la devolution; quindi, alla fine, nessuno dei due candidati ha sostenuto cambiamenti in tal senso [ibidem, p. 17]. Nonostante le alleanze e gli accordi preelettorali, la vittoria del presidente è stata schiacciante, con uno scarto del 17,73% dei voti: cifre che sono andate al di là di ogni aspettativa. L’analisi del voto ha dimostrato che la comunità singalese e quella tamil hanno avuto comportamenti opposti, come era da prevedere. La componente singalese ha votato in modo molto compatto a favore del presidente Rajapaksa, mentre nelle aree tamil si è registrato un alto tasso di astensionismo, come in altri precedenti appuntamenti elettorali. Dei 988.334 aventi diritto della provincia del Nord, solo 292.812 hanno votato. Nel distretto di Jaffna hanno votato 185.132 dei 721.359 elettori e in quello di Vanni 107.680 su 266.975. In entrambi i distretti ha vinto Fonseka, con 184.244 voti, contro i 72.894 di Rajapaksa [W/F 13-26 febbraio 2010, «The landslide»].

La pesante sconfitta elettorale ha avuto l’effetto di polverizzare l’opposizione, già divisa. Alle elezioni parlamentari dell’8 aprile 2010 il JVP si è presentato da solo, mentre il generale Fonseka era ormai tramontato dalla scena politica dello Sri Lanka, duramente colpito anche sul piano personale da una campagna persecutoria da parte del presidente Rajapaksa che si è spinta fino al suo arresto. Solo la TNA si è piazzata in modo soddisfacente, con 16 seggi rispetto ai 22 che ricopriva nel parlamento uscente.

I calcoli effettuati da Rajapaksa alla vigilia delle elezioni presidenziali di gennaio si sono rivelati esatti: la conquista della presidenza era di cruciale importanza per assicurare il successo anche alle elezioni parlamentari. Vincere entrambe le elezioni equivaleva, poi, a ottenere il controllo totale del paese. Infatti, con una vittoria di 144 seggi su un totale di 225, alla componente maggioritaria ne mancavano solo 6 per raggiungere la maggioranza parlamentare di due terzi [W/F 24 aprile-7 maggio 2010, «Emphatic win»], necessaria per poter apportare le modifiche alla costituzione, tanto caldeggiate dal presidente Rajapksa.

L’alto tasso di astensionismo (intorno al 45%) ha mostrato una sostanziale disillusione, da parte dell’elettorato, rispetto alla possibilità di esercitare la propria influenza sulla vita politica del paese. La schiacciante vittoria alle elezioni del 26 gennaio da parte del presidente e della UPFA (United People Freedom Alliance), la coalizione guidata dal suo partito, l’SLFP (Sri Lanka Freedom Party), assieme al distacco della popolazione dalla vita politica del paese rappresentano ingredienti tali da far seriamente temere sul destino della democrazia nello Sri Lanka.

4. La resa dei conti

All’indomani della vittoria elettorale, fin dalle prime ore del 27 gennaio 2010, è partita un’offensiva senza precedenti contro i vertici dello stato maggiore, che ha portato al fermo e all’arresto di numerosi ufficiali e militari. Inoltre, i leader dell’opposizione, e in particolare l’ex generale Sarath Fonseka, venivano sottoposti a sorveglianza. Tutto era cominciato fin dai primi momenti dall’apertura delle urne, quando il generale e altri esponenti della sua coalizione hanno deciso di trasferirsi in un albergo di lusso nel centro di Colombo per seguire l’esito elettorale. Temevano che, se fossero rimasti negli uffici di partito o nelle loro case, avrebbero potuto essere circondati dalle forze di sicurezza. Le sedi di partito sono state lasciate nelle mani di esponenti politici di secondo piano. Questa scelta si è dimostrata sbagliata perché ha annullato la capacità di controllo dello United National Front. Tanto è vero che, quando i risultati hanno cominciato ad affluire, il generale Fonseka ha denunciato il fatto che, attraverso il sistema di registrazione telematica delle schede, circa 1.000.400 mila voti sarebbero stati trasferiti dalla sua coalizione a quella avversaria. A scrutinio ormai avanzato, l’hotel dove si trovavano i vertici dello United National Front veniva circondato da massicce formazioni di militari armati, senza che però fossero ostacolati l’ingresso e l’uscita nell’edificio da parte delle persone. A questo punto Fonseka si è trasferito in una casa privata ritenuta sicura, che è diventata la sede degli incontri dell’opposizione. A una conferenza stampa, Fonseka ha dichiarato che il dipartimento per l’Immigrazione e l’emigrazione aveva ricevuto istruzioni di impedire l’uscita dal paese sua, del genero e di altri esponenti dell’opposizione. L’ex generale aveva la sensazione di poter essere arrestato in qualsiasi momento e temeva per la propria incolumità. Fonseka avvertiva che, nel caso in cui fosse morto, sarebbe stato reso pubblico un documento nel quale venivano rivelati i «segreti» del governo. Il 30 gennaio, il direttore generale del Media Centre for National Security (MCNS), Lakshaman Hulugalle, faceva una clamorosa rivelazione: il generale Fonseka, assieme a un gruppo di disertori, aveva preparato un piano per fare un colpo di stato e per assassinare il presidente Mahinda Rajapaksa e i suoi due fratelli, Gothabaya e Basil, rispettivamente segretario alla Difesa e consigliere presidenziale. Il 4 febbraio, la legislazione di emergenza ha reso possibile l’arresto di almeno 37 persone, sospettate di aver preso parte al presunto tentativo di colpo di stato. Costoro erano in maggioranza ufficiali dell’esercito. Il giorno successivo 14 ufficiali, alcuni dei quali di rango elevato, sono stati obbligati a dimettersi. La spiegazione dell’MCNS è stata che, avendo svolto attività politica durante e dopo le elezioni, questi ufficiali avevano infranto i regolamenti e avevano minacciato la sicurezza nazionale. Nelle stesse ore Chandana Sirimalwatta, direttore del quotidiano singalese Lanka Irida, veniva arrestato perché sospettato di essere coinvolto nel tentativo di colpo di stato [W/F 13-26 febbraio 2010, «Danger signal»].

La vicenda è culminata l’8 febbraio 2010, con l’arresto del generale Fonseka. L’operazione assumeva così definitivamente i toni di una resa dei conti. Secondo alcune testimonianze, una pattuglia di polizia militare guidata dal maggiore Sumith Manawadu ha fatto irruzione nella sede dell’opposizione a Colombo mentre era in corso una riunione tra Fonseka, Somawansa Amerasinghe, leader del JVP, il suo compagno di partito e parlamentare Sunil Hadunetti, Rauf Hakim, leader del Muslim Congress, e Mano Ganesan, capo del Democratic People’s Front [W/T 9 febbraio 2010, «Sri Lanka’s defeated presidential candidate Sarath Fonseka beaten during arrest», e W/F 27 febbraio-12 marzo 2010, «Power drive»]. Si stava preparando la campagna elettorale per le elezioni parlamentari, ormai imminenti. Mano Ganesan è stato neutralizzato con un pugno, poi una dozzina di militari sono entrati nella sala riunioni. Il generale Fonseka ha tentato di obiettare che l’operazione avrebbe dovuto essere condotta dalla polizia e non dall’esercito, quando anche lui è stato colpito con un pugno dallo stesso Manawadu. Dopodiché il generale è stato spinto a terra dagli altri militari e trascinato per i piedi su un furgone assieme al suo segretario, anche lui malmenato [W/T 9 febbraio 2010, «Sri Lanka’s defeated presidential candidate Sarath Fonseka beaten during arrest»].

All’arresto è seguito un comunicato stampa dell’opposizione che, oltre a denunciare l’accaduto, ha fatto riferimento a disordini, che si sarebbero susseguiti subito dopo le elezioni, e alle epurazioni di funzionari pubblici e di ufficiali dell’esercito sospettati di far parte dell’opposizione. Il comunicato parlava esplicitamente di clima da «caccia alle streghe» ed esprimeva preoccupazione circa il rischio che Fonseka potesse essere assassinato in carcere. Pertanto si chiedeva che fosse garantita la sua incolumità [W/F 27 febbraio-12 marzo 2010, «Power drive»].

Il comunicato sottolineava inoltre il fatto che, dal momento in cui si è dimesso dalla carica di generale e comandante delle forze armate, Fonseka è divenuto a tutti gli effetti un civile, che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere prelevato dalla polizia e giudicato secondo il codice civile [W/T 9 febbraio 2010, «Sri Lanka’s defeated presidential candidate Sarath Fonseka beaten during arrest»]. Invece l’ex generale è stato giudicato secondo il codice militare. Il 17 settembre è arrivata la condanna a 3 anni di carcere da parte della corte marziale [W/ATr 28 settembre 2010, «On My Beat: Sarath Fonseka to be transferred to prison once President ratifies his 2 1⁄2 years prison sentence»]. L’ex generale è stato giudicato per avere svolto attività politica prima di dimettersi, per avere citato documenti che avrebbero dimostrato il coinvolgimento in crimini di guerra del segretario alla difesa Gothabaya Rajapaksa e per avere utilizzato disertori come assistenti durante la campagna elettorale [W/BBC 13 ago- sto 2010, «Fonseka convicted by Sri Lanka court martial»]. Effettivamente, il giorno del suo arresto, Fonseka aveva minacciato di divulgare le informazioni in suo possesso circa i crimini di guerra [W/BBC 8 febbraio 2010, «Sri Lanka election loser Sarath Fonseka arrested»]. È stata ridimensionata, quindi, la versione che avrebbe visto l’ex generale impegnato nell’orchestrare un colpo di stato ai danni del presidente. Evidentemente simili supposizioni erano insostenibili. Appare comunque eccessivo il ricorso alla corte marziale e pretestuoso l’arresto di Fonseka, volto a eliminare un avversario politico che comunque appariva ancora temibile, sia perché ancora in grado di accrescere il proprio peso politico, nonostante la sconfitta elettorale, sia perché in possesso di informazioni che avrebbero potuto danneggiare pesantemente il presidente e il suo entourage. Fonseka è stato tolto di mezzo per un periodo tutto sommato breve, ma sufficientemente lungo per distruggerlo politicamente.

5. Crimini di guerra e diritti umani violati

Sul fatto che la fase conclusiva della guerra civile nello Sri Lanka sia stata combattuta in modo spregiudicato, al limite delle convenzioni internazionali, e forse oltre, non vi sono dubbi. Pesano sul governo e sull’esercito di Colombo non solo il sospetto di crimini di guerra e il fatto di non avere completato lo smantellamento dei campi di raccolta e la riabilitazione dei civili là detenuti, ma, soprattutto, il fatto di non avere neppure avviato l’accertamento delle violazioni commesse.

Sulla descrizione delle violenze perpetrate da una e dall’altra parte, esercito regolare e LTTE, ci si è già lungamente soffermati nel volume del 2009 e non è il caso di ripetere qui una descrizione puntuale dei fatti. Tuttavia, è necessario soffermarsi brevemente sulla tipologia delle violazioni, in modo che si abbia un’idea della loro portata e del loro possibile accertamento. Si è trattato di tre principali tipologie di azioni imputate all’esercito governativo: il bombardamento di almeno una dozzina di strutture sanitarie e di ospedali, tra cui, in particolare, quello conosciuto come PTK Hospital, nel distretto di Mullaithivu; il bombardamento di zone in cui si trovavano concentrazioni di civili, soprattutto tamil, con mortai e bombe a grappolo; la già citata esecuzione di un gruppo di guerriglieri e di dirigenti delle LTTE che si stavano arrendendo, sventolando una bandiera bianca. Per quanto riguarda le LTTE, queste avrebbero utilizzato civili come scudi umani durante la ritirata [AM 2009, pp. 140-148 e 155, W/ICG 17 maggio 2010, «War Crimes in Sri Lanka»].

Nel corso del 2010 sono emersi altri crimini e violazioni che alla fine del 2009 non erano ancora venuti a galla, come le violenze sulle donne, perpetrate nei campi profughi da parte dei militari, e gli attacchi dell’esercito regolare al personale delle Nazioni Unite, impegnato in operazioni umanitarie. A questo si aggiunge il fatto che, impedendo l’accesso delle organizzazioni internazionali alle zone di guerra, si è resa impossibile la distribuzione ai civili di cibo, generi di prima necessità, medicinali e materiale sanitario. Le operazioni umanitarie condotte dal governo sono state limitate, così come, di conseguenza, la distribuzione di questo tipo di generi di prima necessità, di cui vi è stata una greve carenza, tale da comportare un ulteriore aggravamento delle condizioni della popolazione colpita dalla guerra [W/ICG, «War Crimes in Sri Lanka», p. 10].

A partire dalla metà del 2010 hanno cominciato a trapelare le testimonianze, documentate da video e da fotografie, dei crimini di guerra commessi dall’esercito negli ultimi giorni di combattimento. Si tratta di immagini che provano le brutali esecuzioni di prigionieri, tra cui donne, una delle quali una giornalista delle LTTE [W/HRW 20 maggio 2010, «Sri Lanka: New Evidence of Wartime Abuses», e 8 dicembre 2010, «Sri Lanka: Army Unit Linked to Exe- cutions»].

Ad oltre un anno dal termine della guerra, la comunità internazionale, e in particolare Europa e Stati Uniti, hanno cominciato ad esercitare pressioni sul governo dello Sri Lanka, affinché facesse luce su crimini e violazioni e completasse il processo di riabilitazione degli sfollati. Il 22 giugno 2010, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha annunciato la nomina di un pool di tre esperti, incaricati di assisterlo in un’inchiesta sulle violazioni messe in atto nelle ultime fasi della guerra. Entro quattro mesi dalla sua attivazione, il pool avrebbe dovuto redigere un rapporto sull’adozione da parte del governo dello Sri Lanka di sistemi di accertamento dei crimini di guerra e contro l’umanità.

Il governo di Colombo ha reagito immediatamente, il 24 giugno, definendo l’iniziativa di Ban Ki-moon un’infrazione della sovranità dello Sri Lanka e dichiarando che ai tre esperti non sarebbe stato concesso il visto di ingresso [W/F 31 luglio-13 agosto 2010, «Panel pressure», e ICG Crisis Watch Database 1° luglio 2010]. Nel frattempo, l’Unione Europea aveva deciso di interrompere dal 15 agosto 2010 le concessioni tariffarie sull’abbigliamento, che rappresentavano un utile di circa 150 milioni di dollari. Anche l’amministrazione Obama decideva di rivedere le concessioni tariffarie sugli scambi commerciali tra Stati Uniti e Sri Lanka [W/F 31 luglio-13 a- gosto 2010, «Panel pressure»]. A seguito delle proteste messe in atto per contestare l’insediamento del pool di esperti, il 7 giugno l’ONU decideva di chiudere la propria rappresentanza nell’isola, senza però richiamare il personale, che è stato invitato a lavorare da casa. Il rappresentante delle Nazioni Unite è stato richiamato presso il quartier generale, per ritornare una settimana dopo, il 17 luglio, con il mandato di aiutare nella ricostruzione della nazione e di indurre il governo a rafforzare i suoi rapporti con l’ONU. Questo sviluppo è stato percepito come segno di distensione tra le Nazioni Unite e il governo di Colombo [ibidem]. In ogni caso, invece di applicare i sistemi internazionali di indagine sui crimini di guerra e contro l’umanità, a maggio 2010 il presidente Rajapaksa ha istituito la Commission on Reconciliation and Lessons learnt from recent conflict (Commissione per la riconciliazione e le lezioni apprese dal recente conflitto), che dovrebbe occuparsi delle stesse problematiche su cui avrebbero dovuto far luce eventuali ispettori internazionali. Si tratta di un organismo dalle funzioni tutt’altro che chiare e definite [W/F 5-18 giugno 2010, «A year after»]. Pochi giorni dopo la fine della guerra, nel maggio 2009, durante la visita di Ban Ki-moon nello Sri Lanka, in occasione di un comunicato congiunto con il presidente, quest’ultimo si era impegnato ad accertare crimini e violazioni. Ora, invece, il governo affermava che il pool di esperti non era previsto tra gli impegni presi durante la visita del segretario generale. D’altra parte, la dichiarazione congiunta non faceva riferimento alle violazioni dei diritti umani e al loro accertamento. Tuttavia il presidente si era impegnato su una serie di punti, come l’empowerment della popolazione del Nord, l’applicazione del 13° emendamento della costituzione, l’avvio del dialogo con tutti i partiti, compresi quelli tamil, il perseguimento di una pace duratura e dello sviluppo del paese, la promozione e la tutela dei diritti umani. Nella gran parte dei casi, però, non si sono ancora fatti i passi concreti per il raggiungimento di tali obiettivi [W/F ibidem e W/ICG 17 maggio 2010, «War Crimes in Sri Lanka», p. 32].

Il governo non ha dato prova di voler investigare a fondo neppure sui crimini commessi dalle Tigri tamil. Dalla conclusione della guerra alla fine del 2010, non si è registrata l’intenzione di avviare processi rapidi nei confronti delle LTTE: evidentemente la leadership singalese vuole evitare che eventuali accertamenti sulla condotta delle Tigri possano contribuire a portare l’attenzione sui crimini commessi dalle forze regolari [W/ICG 17 maggio 2010, «War Crimes in Sri Lanka», pp. 30-31].

6. Autoritarismo e crisi dello stato di diritto

L’8 settembre 2010 il presidente Rajapaksa è riuscito a ottenere la maggioranza parlamentare di due terzi, necessaria per introdurre il controverso 18° emendamento della costituzione, che rimuove il limite massimo di due mandati presidenziali.

Come si è già visto, grazie al risultato ottenuto alle elezioni parlamentari di aprile, la coalizione presidenziale si era assicurata una maggioranza inferiore di soli sei seggi ai due terzi, necessari per poter modificare la costituzione [W/F 9-22 ottobre 2010, «Power first»]. Il presidente Rajapaksa ambiva a questo traguardo, che ha perseguito con ogni mezzo a sua disposizione. La spregiudicatezza del presidente nel mettere fuori gioco, anche con mezzi autoritari, il suo principale avversario, deve avere dato i suoi frutti. L’emendamento è stato votato con 161 voti favorevoli, 17 contrari. Si sono astenuti 46 parlamentari, in segno di protesta. Hanno votato con il presidente nove parlamentari dello UNP, otto dello Sri Lanka Muslim Congress (SLMC) e uno della TNA [W/ATr 9 settembre 2010 «Sri Lanka’s Parliament aprroves 18th amendement with a majority of 144 votes, 161 vote in favour & 17 against and 46 boycotted the voting» e W/MD settembre 2010 «Sri Lanka and the 18th amendment»]. La dinamica che ha consentito l’ottenimento della maggioranza da parte del presidente ha mostrato in primo luogo un’opposizione divisa e in parte, probabilmente, ricattabile. Dopo il voto alcuni parlamentari dello UNP hanno organizzato una manifestazione (guidata dallo stesso Wickremasinghe) che è stata fermata dalla polizia [W/Atr ibidem]. Deve far riflettere il fatto che una parte consistente di parlamentari dello UNP e del principale partito musulmano, oltre che un esponente del principale partito tamil, abbia votato a favore dell’emendamento. La componente musulmana non è mai stata in particolare sintonia con il governo di Colombo. Per non parlare poi della TNA. È possibile che questi parlamentari abbiano ricevuto promesse o contropartite in cambio del loro voto.

La maggioranza parlamentare ha consentito l’approvazione del 18° emendamento alla costituzione, laddove questa vietava che il presidente potesse essere rieletto più di due volte. Ciò significa che, una volta scaduto il suo mandato, nel 2016, il presidente Rajapaksa potrà ripresentarsi alle elezioni. È vero che chiunque altro può presentarsi e vincere, compresa la ex presidente Chandrika Kumaratunga, anche lei presidente per due mandati. La posizione di presidente uscente, però, rappresenta di per sé un notevole vantaggio su qualsiasi avversario. Inoltre, nella storia dello Sri Lanka, nessun presidente uscente che si sia presentato per una seconda volta ha mai perso le elezioni [ibidem].

La rieleggibilità oltre il secondo mandato rende il già potente presidente dello Sri Lanka pressoché onnipotente [W/F 5-18 giugno 2010, «A year after»].

Il 5 maggio 2010 il parlamento ha deciso di revocare in parte la legislazione di emergenza, sospendendo il coprifuoco, la limitazione della libertà di associazione e di stampa, la facoltà delle forze dell’ordine di perquisire abitazioni private, l’obbligo da parte dei proprietari di registrare i nomi delle persone ospitate o residenti nei loro immobili. Nonostante ciò, lo stato di emergenza rimane in vigore; e questo consente tuttora di arrestare e trattenere gli imputati, senza processo [W/ICG 17 maggio 2010, «War Crimes in Sri Lanka»]. Non solo: continuano anche le intimidazioni e le minacce di morte a giornalisti, anche stranieri, che criticano l’operato del governo nella fase conclusiva o dopo la fine della guerra, o anche a quelli che si limitano a riportare i fatti in modo obiettivo. Dopo le elezioni presidenziali di gennaio 2010, diversi giornalisti sono stati fermati e interrogati. Continuano gli attacchi agli esponenti dell’opposizione: al parlamentare dello UNP, Ranga Bandara, è stata bruciata l’abitazione, dopo che questi aveva asserito che un parente del presidente Rajapaksa avrebbe costruito delle case su terreni di proprietà dello stato. Proseguono le violazioni dei privilegi e delle immunità del personale delle Nazioni Unite, a cui talvolta vengono negati i visti, e le vessazioni contro gli operatori delle ONG, che arrivano a rischiare l’espulsione. Non si fermano, in tutto il paese, gli abusi delle forze dell’ordine. Uno dei casi più clamorosi è stato quello di un malato di mente tamil ammazzato di botte dalla polizia a ottobre 2009 a Colombo. La vicenda è stata documentata da un video [ICG 11 gennaio 2010, «Sri Lanka: A Bitter Peace», pp.18-19, W/HRW 29 gennaio 2010 e W/HRW 10 marzo 2010, «Sri Lanka: End Witch Hunt Against the Media and NGOs»].

La morte di persone fermate dalle forze dell’ordine non è un fatto inusuale, nello Sri Lanka. La polizia, però, non è mai stata politicizzata come ora: non c’è da stupirsi, visto che è sottoposta al diretto controllo del presidente e di suo fratello Gotabhaya, segretario alla Difesa. L’ottenimento della maggioranza di due terzi in parlamento ha consentito al presidente di attuare un’altra riforma, a suo vantaggio: la trasformazione del Consiglio costituzionale in Consiglio parlamentare, presieduto dallo stesso presidente e composto da esponenti della maggioranza e dell’opposizione. Il presidente ha la facoltà di limitarsi a consultare il Consiglio parlamentare e di nominare direttamente la Commissione per la polizia nazionale, la Commissione sui diritti umani, la Commissione sugli organi giudiziari e altre commissioni indipendenti [W/F 9-22 ottobre 2010, «Power first»].

Tutti i provvedimenti fin qui ricordati si configurano come una trasformazione in senso autoritario dello stato, eseguita in base ad un preciso modello. In proposito, vale la pena di notare che diversi stati – Israele, la Birmania, la Thailandia, il Nepal, le Filippine, la Colombia, e addirittura la democratica India – attualmente guardano al modello messo in atto nello Sri Lanka come a un esempio da seguire per trattare con insorti e problemi di ordine pubblico: azioni militari senza regole, rifiuto del negoziato, disprezzo per i diritti umani, restrizioni su osservatori internazionali, compresi giornalisti e operatori umanitari. Questi sono, in effetti, gli ingredienti del modello di controllo sociale in uso nello Sri Lanka [W/F 5-18 giugno 2010, «A year after», W/ICG 17 maggio 2010, «War Crimes in Sri Lanka», p. 29, e Shashikumar 2009a e 2009b].

7. Un bilancio, a distanza di un anno

A dispetto delle promesse del presidente Rajapaksa di dare pace e sviluppo al paese, sono ancora numerosi i problemi che stentano a trovare una soluzione. Se cominciamo dalla questione che aveva catturato l’attenzione dei media internazionali nel 2009, dei 300.000 sfollati che si contavano alla fine della guerra, circa 200.000 sono stati reinsediati nelle zone d’origine o nelle loro case, ma ci vorrà ancora molto tempo prima che possano ricominciare a vivere normalmente. Lo sminamento dei terreni è ancora in atto e non procede al massimo della velocità, mentre la ricostruzione del Nord-est sarà lunga e molto costosa. La guerra ha lasciato un gran numero di orfani e di invalidi. La loro riabilitazione comporterebbe un investimento gigantesco per il governo e sarebbe impossibile da attuare senza l’acquisizione di risorse interne o esterne al paese.

Sul piano politico, l’opposizione al presidente e alla maggioranza è pressoché inesistente, non solo a causa delle riforme in senso autoritario attuate da Rajapaksa, ma anche a causa della debolezza intrinseca dello UNP e della TNA [W/F 5-18 giugno 2010, «A year after»].

Secondo lo stile che gli è usuale, il presidente Rajapksa ragiona in grande anche in termini economici, ponendosi degli obiettivi ambiziosi: fare dello Sri Lanka la «meraviglia» dell’Asia e portare il reddito annuo pro capite a 4.000 dollari entro i prossimi sei anni. Ciò significa che la crescita del prodotto interno lordo deve raggiungere una percentuale dell’8% nel medio termine: alla fine del 2009 era stata del 6,2%, mentre nel 2010 si è aggirata intorno al 7,5% [W/WB aprile 2010, «Sri Lanka Economic Update», e W/IMF 13 dicembre 2010, «Statement at the Conclusion of the IMF Staff Mission to Sri Lanka»]. Secondo la visione del presidente, definita Mahinda Chintana (l’«idea di Mahinda»), lo Sri Lanka dovrebbe diventare un centro strategicamente importante per il resto del mondo, in grado di collegare, come nell’antichità, le rotte commerciali est ovest. La Banca Mondiale è intenzionata a sostenere Rajapaksa nel perseguimento di questi ambiziosi obiettivi e ha indicato i passaggi chiave da realizzare per raggiungerli: maggiori investimenti, sia nazionali che esteri, provenienti soprattutto dal settore privato; rilancio delle esportazioni; innovazione; formazione; riduzione del debito e del deficit pubblico, grazie a una più efficiente politica fiscale. La finanziaria del 2011 prevede una riduzione del deficit fiscale al 6,8, rispetto all’8% del 2010. È inutile dire che un passaggio obbligato sarà rappresentato da una crescita inclusiva, che coinvolga tutti i segmenti della società dello Sri Lanka, in modo da scongiurare il pericolo di uno sviluppo sbilanciato del paese. È necessario quindi promuovere un comune senso di appartenenza alla nazione e un’identità condivisa, garantendo la sicurezza delle componenti più povere e vulnerabili. L’attenzione per l’occupazione femminile è imprescindibile. Secondo la valutazione della Banca Mondiale, lo Sri Lanka è ora in grado di compiere la trasformazione da paese a basso reddito a paese a reddito intermedio [WB 17 dicembre 2010, «Becoming the Wonder of Asia: Accelerating Inclusive Growth in Sri Lanka].

Nonostante i 26 anni di guerra, sul piano economico lo Sri Lanka negli ultimi anni ha avuto una crescita economica notevole. I settori di maggiore espansione sono rappresentati dall’agricoltura, dall’industria, in particolare l’edilizia e il settore estrattivo, e dai servizi, settore nel quale il turismo gioca un ruolo fondamentale [WB aprile 2010, «Sri Lanka Economic Update»].

Riferimenti bibliografici

AM
2008  «Asia Maior, Crisi locali, crisi globali e nuovi equilibri in Asia», Guerini e Associati, Milano 2009.
2009  «Asia Maior, L’Asia di Obama e della crisi economica globale», Guerini e Associati, Milano 2010.

W/Atr «Asian Tribune» (http://www.asiantribune.com).
W/BBC «BBC News» (http://www.news.bbc.co.uk).
W/F «Frontline» (http://www.frontlineonnet.com).
W/T «The Telegraph» (http://www.telegraph.co.uk).
W/HRW «Human Rights Watch» (http://www.hrw.org).
W/ICG «International Crisis Group» (http://www.crisigroup.org).
W/IMF «International Monetary Fund (http://www.imf.org).
W/MD «Le Monde Diplomatique» (http://www.mondediplo.com).
W/WB «World Bank»

2010 Sri Lanka Economic Update April 2010, Economic Policy and Poverty Team South Asia Region (http://siteresources.worldbank.org).

Shashikumar, V.K.
2009a  Lessons from the War in Sri Lanka, «Indian Defence Review», vol. 24, n° 3, luglio-settembre.
2009b  The Rajapsaksa model of Defeating Terror, Securing Peace and National Reconciliation, «Indian Defence Review», vol. 24 n° 4, ottobre-dicembre.

Giorgio Borsa

The Founder of Asia Maior

Università di Pavia

The "Cesare Bonacossa" Centre for the Study of Extra-European Peoples

THE RISE OF ASIA 2021 – CALL FOR PAPERS